“Pur essendo trascorsi giorni dal tragico evento del 5 luglio scorso, tuttavia continuano a spuntare sui social e giornali notizie sulla compagna di Emmanuel, Chinyere, e la sua presunta ritrattazione, al punto che la stampa riporta anche ipotetiche dichiarazioni del difensore del Mancini che baserebbe la richiesta di riesame della misura cautelare anche sulla “smentita” della donna. Quale difensore della parte offesa – comunica in una nota l’avvocato Letizia Astorri – ribadisco con forza che Chinyere non ha mai ritrattato, tanto che la stessa Procura della Repubblica di Fermo si è espressa in tal senso ed ogni diversa informazione è tendenziosa e fuorviante, motivo per il quale mi riservo di agire nelle sedi opportune a tutela della mia assistita, anche con l’ausilio della Polizia Postale, qualora necessiti. In questo momento, inoltre, non è importante se il Mancini sia o sia stato razzista, purtroppo le frasi dallo stesso pronunciate lo sono state e con conseguenze devastanti. Da quanto appreso sembrerebbe che ora Mancini abbia preso coscienza della gravità delle sue azioni, ma rimane il fatto che per futili motivi ha provocato deliberatamente una persona offendendola ed insultandola e questo può essere chiamato in mille modi ma non può trovare giustificazione alcuna, né assurgere ora a meriti o onori perchè per tali azioni Emmanuel è morto. Non basta, infatti, una fotografia con un calciatore di colore della Fermana, sua amata squadra di calcio, per dimostrare che non si è né razzisti, né violenti, né basta ricevere i politici in carcere e farsi vedere con altri detenuti di colore per cancellare il passato e crearsi una diversa identità. Ci vuole ben altro per mutare la realtà dei fatti, perchè la conclusione di questa drammatica storia è che alla fine vi sono tre vittime, di cui due con una vita segnata (Chinyere e lo stesso Mancini) e una, quella di Emmanuel, spezzata per sempre. Ribadisco con fermezza che ora necessita permettere alla giustizia di fare il suo corso, nella ricostruzione della dinamica dei fatti, nella celebrazione di un processo che doverosamente deve rimanere all’interno delle aule di giustizia senza trovare, ancora una volta, clamore mediatico e verità distorte e mutate, spesso totalmente inventate, ove è stata coinvolta un’intera città con tutti i suoi abitanti. Fermo non è una città razzista, la frase proferita da Mancini si“.
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L’avvocato non specifica a quale parte della testimonianza si riferisca. Considerando che, a quanto riportato da tutta la stampa, la Procura stessa accetta come dato di fatto che il famoso segnale stradale fu scagliato dalla vittima, e non dal Mancini come originariamente sostenuto dalla moglie, o la moglie ha ritrattato, oppure la Procura non la ritiene attendibile, almeno su quell’importante dettaglio.
Ben venga l’invito a spezzare il clamore mediatico, anche se verrebbe da dire…da che pulpito viene la predica!