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Sisma e messa in sicurezza,
rischio spreco risorse:
l’allarme degli architetti

EVENTI - Gli spunti di riflessione di un convegno ad Amatrice con le esperienze di realtà marchigiane come l'associazione GAM e il progetto MUVe

di Andrea Braconi

foto di Paola Felicetti

Portare le esperienze marchigiane nel contesto di Amatrice, devastata dal sisma del 24 agosto 2016, per riflettere insieme sul presente e soprattutto sul futuro delle terre colpite dai terremoti. Obiettivo centrato per Paolo Romagnoli e Riccardo Marchionni, i due ragazzi di Porto Sant’Elpidio che hanno collaborato alla realizzazione del festival IlluminAmatrice, in svolgimento nella città laziale fino al 27 agosto.

Il primo confronto pubblico è andato in scena ieri pomeriggio, all’interno del tendone da circo allestito nel villaggio Lo Scoiattolo, a pochi passi da quel che resta del centro storico.

LO SCOLLAMENTO TRA NORMATIVA E REALTÀ DEI FATTI

Tra i partecipanti Andrea Tartuferi, ex presidente ed ex vice presidente dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Fermo.

“In questa fase con i miei colleghi stiamo lavorando prevalentemente sulle messe in sicurezza – ha affermato – e ci siamo resi conto di alcune situazioni quasi paradossali. Vengono infatti spese decine di migliaia di euro che verranno buttate via, con procedure assurde messe in atto e totale mancanza di coordinamento. Dopo il 30 ottobre il nostro studio si è concentrato su un’attività strettamente legata alla messa in sicurezza di edifici di valore storico e architettonico e qualche edificio privato. Nel fare questo è sorto tra noi il dubbio, condiviso con altri colleghi professionisti, su quanto le procedue di messa in sicurezza siano sempre utili e necessarie”.

A Visso i colleghi di Tartuferi hanno effettuato una demolizione controllata di un piano e mezzo e della messa in sicurezza dell’altro piano e mezzo, che probabilmente nella fase successiva verrà completamente demolito e rifatto. “Si trattava di un edificio privato costruito in aderenza ad un altro, entrambi riparati dopo il terremoto del 1997: uno non aveva subito nemmeno un graffio, all’altro erano venute giù una parete intera del secondo piano, altre due erano state danneggiate e il tetto era in condizioni instabili. Ci abbiamo messo mano a maggio per fare una demolizione controllata e facendo questo lavoro ci siamo posti una domanda, forse senza risposta: vale la pena fare un’operazione chirurgica mantenendo in piedi ciò che verrà demolito nella successiva fase della riparazione? E In quel momento ci siamo accorti che oltre a questo, che leggiamo come un spreco, un maggior coordinamento tra i vari interventi in un comparto consentirebbe economie e maggior efficienza. Quindi, torno a ripetermi: vale la pena tenere e spendere questi soldi per fare queste opere provvisorie di sostegno a murature e solai che verranno sicuramente demoliti perché non hanno le minime caratteristiche antisismiche prescritte dalla normativa vigente?”.

Proprio sul futuro di Visso, paradigma dell’area del cratere, Tartuferi ha invitato tutti a ragionare insieme. “Come vogliamo la nuova Visso, cosa vogliamo dentro questo centro storico? Ci sono strutture che con un sisma di quella portata non possono stare in piedi. Dobbiamo metterci in testa di costruire in modo sicuro. Il quadro normativo della ricostruzione è sballato, manca una predisposizione al dialogo con i cittadini. Ragionare con loro e con i professionisti sarebbe dovuto venire ancora prima della nomina di un commissario per la ricostruzione. È facile riscontrare uno scollamento totale tra la normativa dell’emergenza e la realtà dei fatti sui territori”.

“Con questo tipo di impostazione e senza un reale coordinamento delle operazioni – ha aggiunto il collega Alessandro Pierleoni – lo spreco e l’inefficacia delle singole operazioni è molto alto. Il nostro lavoro sarebbe stato più efficace se coordinato insieme agli altri cantieri nelle vicinanze. In quel caso in tanti abbiamo lavorato separatamente quando invece potevamo farlo insieme. E la collettività avrebbe risparmiato una quantità di denari non indifferente. Con la situazione attuale il sistema non consente di essere virtuosi, ma dietro a quello che facciamo c’è molto lavoro, c’è un pensiero e c’è soprattutto un’assunzione di responsabilità: il nostro è un lavoro che andrebbe inserito all’interno di una visione dell’emergenza e poi della ricostruzione che sia più efficace”.

Come esempio positivo Tartuferi ha citato l’intervento di messa in sicurezza eseguito sul campanile di Santa Maria da Piedi a Mogliano. “Lo abbiamo fatto con il duplice obiettivo di preservare l’integrità del e quello di migliorarne la risposta all’azione futura del sisma. Con una cerchiatura interna abbiamo riportato il campanile ad una sua unità strutturale. In quel caso il sindaco di quel Comune, con molto coraggio, nell’immediatezza dell’emergenza e senza alcuna certezza in quel momento di rientrare nel risarcimento dei fondi del sisma e nonostante il campanile sia di proprietà della curia ha deciso di intervenire con tempestiva per ripristinare l’accesso al centro storico del paese. In un intervento di messa in sicurezza di questo tipo, costato complessivamente circa 60.000 euro, un buon 50% sono opere che non andranno rimosse nella successiva fase di riparazione del danno ma ne rappresentano già una parte.

SULLA SCUOLA SERVE QUALITÀ, NON VELOCITÀ

Valentina Di Mascio è intervenuta in rappresentanza dell’associazione di promozione sociale GAM (Giovani Architetti Macerata), che conta circa 30 iscritti e ha sedi nel capoluogo di provincia e a Civitanova Marche.

“Da tecnici e da ex studenti ci siamo soffermati sul tema della scuola, che riguarda tutti. La ricostruzione è diventato un qualcosa di cui si parla per slogan, ma noi pensiamo si debba affrontare in maniera diversa. Perciò stiamo facendo un questionario online o che distribuiamo materialmente alle persone in luoghi diversi. La maggior parte di queste vede nelle costruzioni in legno il materiale più sicuro, ma si tratta di una scelta soggettiva che non determina la sicurezza di un luogo. L’innovazione è un altro slogan, ma gli spazi che devono essere ricostruiti devono tener conto di altro, non è una cosa solo tecnologica. Altro punto di fraintendimento è il dove costruire la scuola, se nel centro storico o fuori. E qui manca la partecipazione, fondi e scadenze camminano su binari diversi. Quello che ci preme far capire è che la qualità non venga considerata una priorità sulla velocità: facendo così troveremo scuole mal fatte e già vecchie”.

Il terremoto, quindi, può e deve diventare è un’occasione di investimento sul territorio. “Si tratta di strutture che rimarranno negli anni, ma quello che manca è una visione generale: un tema come la scuola non può essere legato alla discrezionalità di un’amministrazione comunale, servono linee guida da parte del Ministero, altrimenti avremo scuole pollaio. La normativa oggi non tiene conto dei territori, delle infrastrutture e di tutto il contesto. E la politica viaggia a velocità diversa. Come GAM noi non risolviamo nulla, non è il nostro compito, ma vogliamo sollevare una discussione sul tema delle scuole. E a settembre ne parleremo a Gualdo, in occasione di un altro momento di confronto. Toccheremo anche il tema delle grandi aziende che vedono nel terremoto un motivo di marketing, con i Comuni che acquisiscono progetti a pacchetto chiuso senza alcuna flessibilità”.

DALLE UNIVERSITÀ UNA VISIONE DI FUTURO

Dopo le scosse dello scorso autunno, la Navitas Coworking, con sede a Civitanova Marche, ha ospitato una delle realtà produttive più importanti, la ditta Varnelli, che a causa dell’inagibilità delle strutture si è spostata per continuare a lavorare.

“In questo modo – ha spiegato Paolo Fortuna, architetto del paesaggio e uno dei responsabili del progetto MUVe – siamo entrati in contatto con il territorio direttamente colpito. Ci siamo detti: siamo liberi professionisti che vorrebbero poter far qualcosa, come possiamo quindi essere d’aiuto? Sono stati proprio loro della Varnelli a dirci ‘è il vostro momento, il momento di aiutarci’. Ci hanno incoraggiati e abbiamo deciso di concentrarci sul problema non dal punto di vista della ricostruzione architettonica ma piuttosto sul vuoto, sugli spazi di aggregazione, su dove la comunità si ricostruisce e si assembla”

Grazie a dei contatti internazionali, circa 30 studenti dell’università tedesca di Kassel sono stati ospiti nell’ambito di un corso di architettura del paesaggio e a maggio hanno speso una settimana a Civitanova e in tutta l’area della provincia di Macerata. “Abbiamo preso in considerazione tre paesi: Muccia, Ussita e Visso (da qui l’acronimo MUVe, ndr), gli amministratori ci hanno sostenuto dandoci permessi per accedere ad aree rosse. Tecnici comunali e Vigili del Fuoco ci hanno accompagnati spiegando quali erano le problematiche presenti e quali quelle future. Sulla base di questa esperienza abbiamo fatto un workshop a Civitanova con la partecipazione di un rappresentante del Parco Nazionale dei Monti Sibillini e di un ingegnere di uno studio di Roma per una lezione di architettura antisismica. Abbiamo cercato di dare ai ragazzi più input possibili per avere una loro visione sul futuro, su come poter riportare le popolazioni nelle loro terre di origine, con un coinvolgimento anche dei cittadini nel ricreare il proprio ambiente. Nella nostra idea, Muccia potrebbe essere intesa come la porta, Visso come lo spot culturale e Ussita come quello sportivo e turistico. Adesso abbiamo in mano questi progetti e capiremo come svilupparli”.

SPERIMENTARE, PER UNA NUOVA CULTURA

L’ultima riflessione, quasi scontata, è stata sul cosa fare.

“Molti dei problemi sono strutturali – ha rimarcato Pierleoni – e derivano anche dalla conformazione dei nostri territori, dalla dimensione amministrazioni e dalle relative competenze. Non credo sia un problema di cattiva fede o cattivi strumenti, anche se a volte c’è anche questo. Servirebbe, questo sì, che da un livello amministrativo più alto arrivasse con più forza un intervento per colmare questo tipo di lacune”.

“Sul ripensare il futuro – ha aggiunto Tartuferi – credo che il maggior bug delle nostre realtà territoriali sia principalmente legato alla mancanza di abitudine di ripensare al futuro con una partecipazione ampia. Qui rimandiamo sempre tutto al politico di turno o al commissario straordinario ma è proprio questo il vuoto sul quale questa nazione deve lavorare. Le soluzioni si trovano in modo collettivo e la democrazia partecipata non è un’utopia. Il sindaco di Mogliano ha operato da “buon padre di famiglia”, ha cercato di risolvere ciò che la collettività viveva come un grande problema: non poter vivere il proprio centro storico. In altre realtà la macchina burocratica della ricostruzione, che dovrebbero risolvere e semplificare i problemi dell’emergenza, ne ha complicato e rallentato la risoluzione”.

“C’è anche un bug culturale – ha affermato Fortuna – nella nostra cultura ciò che è inteso come spazio pubblico non equivale ad un mio spazio ma ad uno spazio che deve gestire l’amministrazione. In altri paesi è invece inteso come il mio spazio, sono io il protagonista. Ed è un aspetto che dobbiamo cercare di cambiare in tutti i modi. Così le comunità riuscirebbe ad essere più resilienti, facendo parte di certe dinamiche. Altro aspetto è avere la visione di un futuro, che riguarda quel vivere nell’entroterra che deve trovare altri input per riportare i giovani e far rivivere certi paesi già spopolati prima del sisma. E questo comincia da adesso, nella tragedia ci possono essere tante opportunità per poter sperimentare un nuovo tipo di cultura”.

“Ho 30 anni – ha concluso Valentina Di Mascio – e posso dire di essere cresciuta con il terremoto. Quello che mi stupisce è che ogni volta non impariamo da quello che abbiamo passato. Dovrebbero esserci cose già assodate, invece c’è la mancanza di una prassi per gestire emergenze simili in diverse parti d’Italia. Poi c’è una priorità economica e di lavoro nelle zone spopolate che va affrontata immediatamente. Dopo un anno parliamo ancora di casette, messe in sicurezza e procedure, ma è fondamentale dare linee guida affinché quando ci sarà un altro terremoto riusciremo ad essere veramente pronti”.

 

 


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