Istantanee dal Ghana, terzo scatto: prosegue il viaggio di Marco Renzi

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di Marco Renzi

(foto di Francesca Renzi)

IL LABORATORIO – Abbiamo iniziato il laboratorio con i ragazzi che frequentano le scuole della missione in cui siamo ospiti, ne avevamo chiesti 25, sono arrivati in 35, altrettanti vorrebbero partecipare e restano a vedere il lavoro misterioso che fanno i loro amici. Purtroppo non possiamo prenderli tutti, non si riuscirebbe a portare avanti l’attività. Lo spazio è grande e ben messo, in futuro sarà la sede della nuova biblioteca del centro. Arrivano accompagnati dal responsabile della scuola che poi, con grande sorpresa di tutti, resta e partecipa attivamente a tutto quello che c’è da fare, conferendo al progetto una serietà che viene immediatamente raccolta dai ragazzi.
Avere davanti un gruppo di giovani che non guardano la televisione né utilizzano telefonini è oggi un’opportunità più unica che una rara. Questi ragazzi hanno una fisicità innata e dirompente, si muovono tenendo il ritmo e sembrano aver sempre fatto questo genere di cose. Ci avevano detto che in Ghana esiste una tradizione e una predisposizione al racconto orale e all’ascolto ma quando abbiamo fatto una pausa e letto loro la storia che intendiamo rappresentare, questo fatto si è magicamente concretizzato. Noemi Bassani, l’operatrice del team che meglio parla inglese, ha cominciato a leggere la storia e subito il silenzio si è fatto totale, gli sguardi raccolti e la sala si è trasformata in un teatro.

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Prima di partire per questo viaggio avevamo chiesto ai referenti sul posto delle storie ghanesi che fossero conosciute e tra le tante che ci hanno mandato ne abbiamo scelta una, quella che ci è sembrato potesse avere le dinamiche che stavamo cercando. E’ una storia di furbizia, racconta di un contadino, tale Ababaa che salva una iena dai cacciatori nascondendola in un sacco e questa, una volta scampato il pericolo, vuole mangiarlo sostenendo di non aver promesso nulla in merito. Intervengono nella disputa diversi animali, prima il leone e poi l’elefante, chiamati a stabilire chi ha torto e chi ha ragione, entrambi rimproverano al contadino di essere stato stolto, visto che la malvagità della iena è nota a tutti. Per ultima viene chiamata ad esprimere il proprio parere la scimmia, questa vuole vederci chiaro e chiede alla iena di rientrare nel sacco dove Ababaa l’aveva rinchiusa, l’animale è diffidente ma alla fine entra, a qual punto il sacco viene prontamente legato e la questione risolta, Ababaa è salvo. E’ una storia semplice, che ritroviamo in molte altre tradizioni, a dimostrazione di come l’uomo abbia da sempre accompagnato vita e spostamenti con il racconto. Nella raccolta de “Le Mille e una Notte” ne esiste una versione analoga “Il genio dell’anfora”, come pure nelle fiabe italiane di Italo Calvino. Il rapporto tra gli uomini e le storie si perde nella notte dei tempi e non si sa chi dei due sia apparso prima, sta di fatto che da quando un essere umano è salito sopra una roccia e ha cominciato a narrare ha dato inizio ad un’azione che non ha avuto più fine. Nei prossimi giorni lavoreremo alla messa in scena del materiale che abbiamo letto, sarà uno spettacolo molto fisico, supportato da pochissimi oggetti, cantato e danzato, questo almeno nelle nostre intenzioni. Tra quindici giorni ve ne daremo conto.

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IL BAR – Abor è un piccolo villaggio nell’est del Ghana, regione del Volta, a pochi chilometri dal Togo, in sostanza un incrocio stradale con qualche decina di baracche che vendono le poche cose che possono, intorno, una miriade di capanne e casette in muratura, sempre e comunque con i tetti di lamiera ondulata. La strada principale l’hanno costruita imprese cinesi con manodopera locale, anche in Etiopia funzionava allo stesso modo, l’illuminazione pubblica, così come siamo abituati a vederla nei nostri paesi e città, qui non esiste, quando alle sei della sera scende la notte semplicemente si fa buio, ovunque, e le stelle si mostrano in tutto il loro splendore. Dalla Missione in pochi minuti si raggiunge Abor dove si può scegliere se sedersi ad un bar o all’altro. Il bar è una sorta di oggetto non identificato, sia nell’uno che nell’altro la musica è dominante e casse sproporzionate fanno bella mostra di se. Posso sbagliarmi, ma credo siano quel tipo di diffusori che si usavano da noi venti anni fa e che hanno trovato quaggiù una seconda vita. La musica che mandano è orrenda, il peggio dell’occidente, una sorta di disco africana a volumi insopportabili. Fuori dal locale qualche tavolo e l’immancabile barbecue con spiedini di capra. Lo spettacolo vero comincia quando uno si siede, il resto scorre naturalmente davanti agli occhi, dal buio fitto della strada transitano nel cono di luce del locale diversi mezzi di trasporto: automobili ovviamente, poi, in ordine gerarchico moto cinesi con tre, quattro persone sopra, e fin qui la percentuale di chi ha luci avanti e dietro è ancora alta, si passa quindi ai mezzi oscuri, quelli che non hanno nulla, biciclette prima tutto, seguono carretti di varia fattezza, principalmente piccoli e con ruote di automobili, carichi di persone e cose, infine i pedoni, tanti e allegri. Questa umanità si muove senza il supporto di alcun lampione, forse ogni tanto qualcuno si farà pure male, non ho chiesto, comunque l’allegria domina su tutto. La cosa che credo valga la pena di sottolineare è come in questo posto nessuno fuma e se al bar, seduti all’esterno, ci viene voglia di accendere una sigaretta ci fanno gentilmente notare che è meglio desistere. Non ho ancora visto, ed è già una settimana che sono arrivato, nessun ghanese fumare.

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