In Mile 22, Mark Wahlberg interpreta il capo di una squadra della CIA, James Silva, che viene incaricato di trasportare un poliziotto con informazioni critiche lungo 22 miglia attraverso una città del sud-est asiatico per farlo uscire dal paese. Il tragitto, dall’ambasciata degli Stati Uniti ad un aeroporto, è terribile: Silva e la sua squadra vengono inseguiti, colpiti, bombardati e costretti ad ascoltare il loro capo mentre gli dà istruzioni attraverso le cuffie.
Il regista Peter Berg e Wahlberg descrivono questo film mentale come una pellicola d’azione “guidata dai suoi personaggi”, infatti qui l’attore statunitense interpreta un nevrotico agente che parla velocemente e continua a far scattare un grosso elastico giallo dal suo polso. Secondo quanto riferito, l’attore ha studiato Steve Bannon come fonte d’ispirazione per il suo personaggio e alla fine il risultato è stato un sacco di aggrottamenti di ciglia e un’esagerata esasperazione delle sue frasi. Tuttavia, la performance più avvincente appartiene all’attore e artista marziale indonesiano Iko Uwais che è diventato famoso nei film di The Raid e che nel film interpreta il “bene” che deve essere portato fuori dal paese.
Altri membri della squadra includono l’esperta di arti marziali Samantha (la wrestler Ronda Rousey) e la tenente di Silva, Alice (Lauren Cohan di The Walking Dead), che deve svolgere il suo lavoro top-secret mentre, nel bel mezzo di un divorzio, combatte per la figlia attraverso video chiamate. Il punto è che questi agenti – che ufficialmente si sono dimessi dalla CIA e stanno agendo “extra-legalmente” – stanno facendo grandi sacrifici personali al di fuori degli schemi in questa forma superiore di patriottismo.
Man mano che l’azione accelera, il film si sposta continuamente tra l’azione sul terreno e i droni guidati da Bishop (John Malkovich) che, con la sua squadra, monitora i segni vitali degli agenti che vanno su e giù come i punti vita dei personaggi di un videogame. Le lotte e la visualizzazione di equipaggiamento militare sono abbastanza convenzionali ma la sceneggiatura di Lea Carpenter e Graham Roland è veloce, molto veloce. In questo film, tutto è veloce e non ci si annoia mai, dall’inizio alla fine va dritto senza deragliare in prolissi dialoghi e scene inutili. Tra i buoni e i cattivi non c’è predominio sul campo di battaglia e questo crea molto brivido portando a pensare “riusciranno ad arrivare fino in fondo?”. Perciò, sebbene sia facile prevedere la conclusione, è comunque soddisfacente collegare tutte le parti del film in un’unica immagine finale.
di Giuseppe Di Stefano
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