di Giorgio Cisbani
Caro direttore,
dispiaciuto per aver saputo in ritardo della scomparsa di Ernesto Buondonno, vorrei qui simbolicamente accompagnarlo con questo ricordo. Discreto, raffinato, colto, rispettoso, così mi è apparso sin dal primo incontro; un uomo di altri tempi, un qualcosa di più di “una persona per bene “.
Nel 1968, approfittando dell’elezione al Parlamento di Gianfilippo Benedetti, d’accordo con alcuni infermieri iscritti al PCI ( Eriberti, Marziali, Giorgi, quelli che ricordo ) e di un giovane medico, Giorgio Ripani, oltre che con lui, organizzammo il primo blitz umanitario ( chiamiamolo così ) all’ospedale psichiatrico. Il direttore di allora era il prof. Tomassino, particolarmente rispettoso delle istituzioni, quasi “ timoroso “ delle autorità.
E’ da tener presente che Gianfilippo, senza essere parlamentare, per la grande notorietà professionale, era già considerato un’istituzione, Per cui, quando il portiere lo avvisò della presenza dell’ On. Avv. Benedetti, tutte le porte si spalancarono d’incanto e ‘ noi esterni ‘, vedemmo per la prima volta degli ammalati legati ai loro letti, talmente alienati da richiedere di non essere slegati.
Cominciò in occasione di questa circostanza il nostro rapporto che negli anni si rafforzò per le importanti iniziative che seguirono, grazie a lui, agli altri e a quel partito che nel Paese si impegnò molto per portare avanti la riforma ( il superamento ) degli ospedali psichiatrici. Grazie a lui, Basaglia, il padre della riforma, personaggio noto in tutto il mondo, venne due volte a Fermo, così come vennero diversi altri operatori, molto conosciuti per il grande valore ed impegno.
Ernesto partecipò alla vita della città, fu consigliere comunale del PCI e, con un certo impegno, partecipò anche alla vita del partito. Per un periodo, con la famiglia, si trasferì a Pistoia, con un incarico importante presso quell’ospedale psichiatrico. A Pistoia mi capitò d’incontrarlo, anzi meglio, lo cercai approfittando di un viaggio di lavoro a Carrara. Fu particolarmente contento e altrettanto chiaramente potei capire che aveva lasciato a Fermo molti ricordi ed affetti. Dopo un pò rientrò. Delle sue vicende personali, dei suoi rapporti con l’Amministrazione provinciale ( da cui dipendeva l’ospedale psichiatrico ) non ci aveva fatto alcun cenno, ma nemmeno dopo sapemmo qualcosa di preciso. Seppure eravamo all’opposizione, credo che contassimo più di qualcosa e, certamente, per la difesa di una persona come lui, ci saremmo spesi.
Mai, dunque, ha fatto pesare le proprie esigenze, così come mai si è messo avanti per avere incarichi nel partito, nelle istituzioni e mai, proprio mai, ha mostrato la volontà di apparire mentre, il suo impegno in difesa dell’umanità più dolente, è durato una vita.
Non lo vedevo da molto tempo; l’ultima, anni fa, in occasione della presentazione di un suo libro. “ Come va Mondò ? “, ( lo chiamava così un nostro compagno, operaio di San Tommaso ). “ Bene, bene, – mi rispose – nonostante il partito non ci sia più, però… “ Aveva più speranza di me; aveva aggiunto un “ però “.
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