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Impianti a biodigestione, economia circolare e green economy: “Osservatorio e proposte per una prospettiva”

AMBIENTE - "La politica e le istituzioni a tutti i livelli (sindaci, assessori, consiglieri comunali, Provincia, Regione) debbono anzitutto ed al più presto addivenire ad una piena operatività dell’ATA4 provinciale"

Articolo UNO provinciale Fermo di concerto con il PD provinciale Fermo, PD Città di Fermo, Fermo Capoluogo, Agire Locale, Fermo Coraggiosa-Articolo1, quindi di tutta la compagine Fermo Futura, in collaborazione altresì della CGIL di Fermo, di Legambiente Marche e di personalità che con competenza e disponibilità hanno reso il proprio fondamentale contributo, a seguito di assemblee e di un serrato confronto hanno condiviso la stesura di una base di indirizzo per lo sviluppo di una partecipata discussione e prospettiva nel territorio fermano sulla basilare questione del ciclo dei rifiuti, dell’articolato argomento circa gli  impianti a biodigestione nonché del più complesso ed imprescindibile tema dell’economia ecologica. 

“All’interno delle tematiche ambientaliste ed ecologiste – spiegano le sigle che hanno aderito – nonché degli obiettivi posti dall’Agenda 2030, prende sempre più forma e contenuto il modello teorico della Green Economy e dell’Economia circolare, quale filosofia di sviluppo economico teso alla riduzione dell’impatto dell’uomo sull’ambiente in un’ottica di piena ed estesa sostenibilità. L’agire economico è pertanto chiamato a valutare costi e benefici derivanti dalla crescita, ovvero a declinarsi in termini di sue ricadute ambientali, in relazione anzitutto, ma non solo, alle attività di trasformazione delle materie prime.  Tale premessa ci porta a prestare doverosa attenzione al dibattito che si è fatto strada in Italia e recentemente, in termini più contestuali nel nostro territorio all’interno delle provincie limitrofe di Fermo ed Ascoli Piceno, sulle modalità di gestione dei rifiuti” .

Nota che prosegue: “Più precisamente attorno a quella innovativa tecnologia, molto presente soprattutto al nord, che riciclando in maniera maggiormente naturale e virtuosa l’organico, lo trasforma anche in opportunità energetica: i biodigestori. Un grande “intestino biologico” in grado di “digerire” rifiuti organici attraverso l’azione metabolica di microorganismi in condizioni di anaerobiosi, cioè in ambiente privo ossigeno, contrariamente a quanto avviene nel processo di compostaggio. Pertanto risulta essenziale un reattore isolato dall’ambiente esterno e capace di lavorare a valori di temperatura, pressione e umidità controllati. In queste condizioni la fermentazione batterica trasforma una parte della massa di rifiuto umido e vegetale in biometano e una parte in un substrato chimicamente inerte, detto “digestato”. Quest’ultimo, contrariamente al compost ottenuto da biossidazione ed umificazione, eccessivamente acido per l’utilizzo in agricoltura, risulta, nelle sufficienti quantità, un eccellente fertilizzante per la concimazione dei terreni perché ricco di azoto, fosforo, potassio e micronitrienti. Infine, la parte di anidride carbonica prodotta nei processi di trasformazione biochimica – e tale comunque sarebbe nell’ambiente la quota prodotta dalla degradazione dell’organico – in un circolo completamente virtuoso, potrebbe essere recuperata e resa compatibile con l’utilizzo in altri settori, come quello alimentare. Quindi, premesso che la raccolta differenziata dei rifiuti ed il trattamento della frazione organica rappresentano una necessità per ogni comunità responsabile e che i progetti dei biodigestori con produzione di biometano sono attualmente l’opzione migliore, rispetto alle alternative dei termovalorizzatori e del compostaggio aerobico, la sinistra ed il centrosinistra nella cultura socialista e progressista, quali convinti assertori della necessità di un nuovo modello di sviluppo che concretamente apra la stagione del Green New Deal, che da una differente gerarchia dei valori assuma la terra, l’acqua, l’aria quali beni comuni pubblici fondamentali, consapevoli che le risorse della terra non sono un bene illimitato e strettamente congiunto all’aspetto economico che vede il lavoro buono e stabile nel rilancio di un territorio capace di riattivare, anche con infrastrutture, turismo, cultura, agricoltura di qualità e benessere diffuso, ritengono certo fondamentale la realizzazione degli impianti a biodigestione anaerobica.  Solo in tal modo, nel coraggio delle scelte responsabili e lungimiranti, si garantirà in tempi brevi il passaggio da un’economia lineare a un’economia circolare quale cifra sostanziale di un nuovo orizzonte. Pur tuttavia pensiamo che tale passaggio non possa prescindere da un partecipato coinvolgimento popolare, anche attraverso le stesse amministrazioni locali in un sinergico raccordo, da una corretta informazione nonché da una pianificazione strutturata che tenga conto dei molteplici ed articolati fattori. Come, per citarne uno tra i più rilevanti, il più corretto posizionamento degli impianti nel territorio per una minore movimentazione possibile dei rifiuti. Vorremmo ricordare, come evidenzia la scheda di “Monitor – Rifiuti 2020 Marche”, che delle 243.000 tonnellate di biologico (somma della frazione “umida” e “verde”) prodotte nelle Marche, solo il 40% viene trattato nella nostra regione. Il deficit nella gestione dell’organico viene richiamato anche nel rapporto “ISPRA 2019” in cui si rileva che dalla nostra Regione sono state esportate circa 94.000 tonnellate di rifiuti organici con costi pari a circa 70 € a tonnellata. E tali considerazioni mantengono dunque la propria fondatezza, anche nell’impatto a più livelli circa il trasporto, tanto nel contesto nazionale e regionale quanto nei presupposti locali delle nostre comunità. Dunque la scelta ambientale ottimale, come anche segnalato dal “Testo Unico Ambientale del 2006”, sarebbe quella di far viaggiare il meno possibile il rifiuto organico, posizionando gli impianti a biodigestione il più vicino possibile alle discariche esistenti (al loro interno, ove possibile) e comunque ai centri urbani maggiormente popolati. Così come la partecipazione a carattere pubblico nella realizzazione di questa preziosa nuova tecnologia sarebbe una condizione fortemente necessaria al fine di garantire trasparenza e maggior controllo. Ed è per questo che risulta fondamentale che le istituzioni pubbliche riescano a concertarsi e dialogare per giungere ad una sintesi. D’altro canto l’alternativa rispetto ad un lungimirante e responsabile approccio collettivo che riesca a costituire un patto consapevole, responsabile e virtuoso tra istituzioni e persone, politica e comunità, sarà, nell’assenza riottosa e chiusa rispetto ad un avanzamento: l’inceneritore da legislazione nazionale e la realizzazione dei processi di smaltimento e gestione complessivi del ciclo dei rifiuti completamente nelle mani del privato. Non si sfugge oramai più dall’affrontare compiutamente, concretamente e con visione la complessa questione dell’intero processo dei rifiuti (dalla produzione fino allo smaltimento, coinvolgendo quindi i processi di raccolta, trasporto e trattamento). Alle questioni di tipo ambientale si affiancano quelle economiche; necessaria quindi una corretta analisi economica del dimensionamento dell’impianto, valutazione del tempo di ritorno dell’investimento economico e quindi la fattibilità del progetto.  Risulta chiaro che la diminuzione dei rifiuti di tipo organico porti a indubbi vantaggi sulla qualità di vita nelle città e nell’ambiente agricolo. Attualmente un’azienda che opera nel settore agricolo è costretta a sostenere costi elevati per il trattamento di residui organici derivanti da allevamenti o coltivazioni, mentre potrebbe riutilizzare questi reisdui come fonte energetica ricavandone un guadagno e abbassando di conseguenza i costi di gestione. Ulteriore fattore da tenere in stretta considerazione è la creazione di nuove possibilità di mercato derivanti dalla produzione di biogas, digestato e CO2. In una visione più generale di bioeconomia, questo settore è in grado di produrre all’interno del mercato europeo circa 2300 miliardi di euro in termini di fatturato di cui la metà riconducibili al settore alimentare e 380 miliardi legati a quello agricolo. A questi dati si affiancano quelli occupazionali con oltre 18 milioni di lavoratori (EU, Bioeconomy, 2018). Se pensiamo al nostro paese, i settori produttivi legati alla bioeconomia valgono 330 miliardi, con un numero di lavoratori impiegati nel comparto di circa 2 milioni (BIT 2019)”.

“Occorre ricordare che nella provincia di Fermo, e non solo nel nostro territorio, allo stato attuale non è proficuamente operativa l’ATA4 (Assemblea Territoriale d’Ambito, la cui funzione è la gestione unitaria a livello provinciale dei rifiuti urbani) ed è anche per questo motivo, per la difficoltà a sviluppare un dibattito ed un raccordo sulle grandi questioni, che poi si assiste, come per il biodigestore di Force, ad un malcontento generale ed a speculazioni politiche di tipo populistico che, sfruttando l’effetto NIMBY e la scarsa conoscenza scientifica, sicuramente non aiutano i cittadini a comprendere e quindi ad approcciarsi più consapevolmente e serenamente alle reali problematiche riguardanti gli impianti di smaltimento dei rifiuti organici. Ogni rilevante impresa sui territori che dovesse mancare di concertazione tra istituzioni, di una condivisione popolare nonché di una corretta informazione e formazione, potrebbe finire, oltre a non raggiungere le più alte e condivise prospettive, col produrre diffidenze, campanilismi e scarso senso di partecipazione in seno alle stesse comunità.  Per tali motivi la politica e le istituzioni a tutti i livelli (sindaci, assessori, consiglieri comunali, Provincia, Regione) debbono anzitutto ed al più presto addivenire ad una piena operatività dell’ATA4 provinciale, in modo da poter discutere in un ambito istituzionale dei problemi di gestione dei rifiuti collegati con la realizzazione dei biodigestori anaerobici e che tale confronto possa, nei doverosi passaggi, altresì sul piano popolare e politico e con anche il coinvolgimento delle parti sociali e delle associazioni ambientaliste, divenire una proficua prassi di lavoro. La rivoluzione ambientalista che noi sosteniamo è un orizzonte culturale, un’utopia necessaria e realizzabile. Non è un elenco di privazioni da infliggere ai cittadini sebbene debba vederci tutti generosamente e collettivamente coinvolti, ma una grande e moderna idea di sviluppo e benessere per dare più opportunità e libertà alle donne ed agli uomini del pianeta. Da tale piattaforma intendiamo aprire un grande confronto sul territorio della provincia di Fermo che possa svilupparsi con la partecipazione delle comunità locali, il coinvolgimento delle istituzione e di tutte le forze politiche e di rappresentanza che assumono la sostenibilità ambientale nel modello della Green economy quali valori per un nuovo modello di sviluppo da realizzare e non più rinviabile” .


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