di Paolo Paoletti
(foto Alessandro Giacopetti)
“Una scelta irresponsabile, inconsistente e rinunciataria”. Non usano mezzi termini i consiglieri Massimo Rossi e Maria Giulia Torresi in merito all’ipotesi di vendita della Casina delle Rose verso la quale si sta muovendo l’amministrazione Calcinaro. I due consiglieri di Fermo Migliore e L’Altra Fermo hanno voluto incontrare la stampa ai piedi dell’edificio che si trova al Girfalco. Un pezzo di storia della città, diventato oggi un simbolo del degrado, che secondo i due esponenti di minoranza: “Rischiamo di perdere in maniera definitiva nel caso in cui venga ceduto”. Rossi e Torresi avanzano la loro proposta concreta: “Per quanto ci riguarda non ci siamo limitati a lanciare idee estemporanee. Qui abbiamo assistito ad un festival di fantasia emerso dalle proposte delle altre forze politiche: teatro, cinema, danza, il problema centrale era fare una proposta che avesse un legame e parta da un substrato”.
LA PROPOSTA: LA CASA DELLA DIETA MEDITERRANEA
Un progetto, quello proposto dai due consiglieri, che vedrebbe l’edificio non perdere la sua natura ricettiva, ma allo stesso tempo identificarsi con questo territorio come una sorta di casa della Dieta Mediterranea. “Ipotesi condivisa con Slow Food, con il laboratorio della Dieta Mediterranea e altre realtà per dedicare questo luogo, pur ricettivo, ad attività di formazione, eventi, convegnistica sui temi della dieta mediterranea e del vivere bene – spiega Rossi – Un progetto che si sarebbe integrato con il mercato coperto che invece vediamo come luogo di esposizione di questi prodotti. Ci siamo confrontati con gli esperti di settore a riguarda non per avere ‘una clacca’ ma ci hanno aiutato a costruire questa ipotesi. Poi ci siamo fermati perchè non era nostro compito andare avanti ma spettava all’amministrazione”.
Maria Giulia Torresi aggiunge: ” In questo caso l’edificio manterrebbe la destinazione d’uso e diventerebbe un luogo di valorizzazione specifico, una casa del gusto un tempio del gusto”. Un progetto che per Rossi e Torresi poteva essere finanziato con diverse fasi:” L’amministrazione avrebbe potuto stanziare 100 mila euro, vedi i soldi dalla vendita Solgas, per un primo intervento. Poi, vista la presenza di un Ufficio Europa quanto mai efficiente, si sarebbero potuti intercettare fondi specifici anche tramite partenariati viste le realtà che possono essere coinvolte. Si poteva valutare una cordata d’imprenditori. Se si costruisce una squadra che veda amministratori e risorse della città si crea partecipazione. Il tutto valorizzando anche i nostri laureati, quelli che invece vanno all’estero”.
L’ATTACCO: “NULLA E’ STATO FATTO PER TROVARE SOLUZIONI ALTERNATIVE”
Arriva poi l’affondo verso le scelte della maggioranza: “Oggi ci vengono a comunicare che l’amministrazione pur avendo apprezzato le proposte delle minoranze, ritiene di confermare l’orientamento alla vendita, senza aver fatto nulla, e questo lo ammettono, da luglio ad oggi – spiega Rossi – Alla domanda su cosa è stato fatto in questi due anni per verificare la praticabilità delle altre proposte la risposta è: niente. Più che una vendita si parla di una svendita, o meglio di una vendita a riscatto, si paga l’affitto con la possibilità di retrocedere dopo un certo numero di anni. Siamo contrariati da questo atteggiamento che riteniamo sbagliato, in un momento come questo dopo il terremoto, in cui si è in evidente difficoltà non si vendono i gioielli di famiglia, il buon senso porterebbe almeno ad aspettare”.
Maria Giulia Torresi che sottolinea: “Dispiace che non ci sia stato un tentativo adeguato per dire ‘abbiamo provato tutte le strade’. Non sono state contattate le associazioni di categoria per non parlare degli altri soggetti del territorio. Questo desiderio di vendere non scaturisce dall’assoluta necessità che vogliono far credere ci sia, ma da una scelta precisa, ovvero quella di volersi disfare di un immobile che non si presenta sicuramente nella maniera adeguata”.
Secondo Rossi e Torresi questa amministrazione pecca di una visione non in prospettiva: “Piuttosto che una vendita, che rappresenta una scelta definitiva, perché non tentare, telefonare, parlare con gli operatori del territori?Qui ci si occupa della gestione quotidiana, delle feste in centro e dei marciapiedi e non si vuole guardare oltre. Sindaco se è vero che abbiamo tanti contenitori allora perché non trovare qualcosa che vada a giustificare l’iniziativa privata in questi spazi? Se l’amministrazione ritiene di non essere in grado di portare avanti questa strategia almeno eviti la vendita”.
COSTI E BUSINESS PLAN: “IL RISCHIO DI UN FALLIMENTO DEL PRIVATO PORTEREBBE AD UN NUOVO ABBANDONO IRRIMEDIABILE”
Da qui i conti in tasca a quella che potrebbe essere la nuova struttura ricettiva in caso di vendita. “Abbiamo chiesto ad alcuni imprenditori una sorta di business plan dell’attività. Un hotel con circa 22 camere – spiegano Rossi e Torresi – immaginiamo circa un milione di euro per il restauro e la messa a norma, affidandola in gestione ad una cordata c’è la possibilità di ammortizzare questo investimento in una gestione ventennale. Ci hanno detto che la cosa si può fare. Parlare di vendita invece è quanto mai irresponsabile. Basta fare dei conti. Due milioni di euro circa per l’acquisto, più un altro milione per il recupero. Tre milioni di euro che gravano su un imprenditore con 22 camere. E se poi fallisce? Il degrado è irreparabile. Privatizzare questa struttura è rischioso, se in caso di fallimento ci si trova di fronte ad un nuovo degrado, l’amministrazione dovrà affrontare una situazione quanto mai complicata. Firmare ordinanze per mandare via i piccioni e altri interventi delicatissimi”.
CASINA DELLE ROSE PATRIMONIO CULTURALE: CONTO ALLA ROVESCIA PER IL RAGGIUNGIMENTO DEI 70 ANNI
Infine, altro elemento da non sottovalutare, il possibile ruolo, al momento non riconosciuto dalla Sovrintendenza, dello stabile come patrimonio culturale. Allo scoccare dei 70 anni di storia dell’edificio scatta automaticamente l’inserimento come bene culturali e servirà il via libera del Ministero per eventuali alienazioni o interventi.
“L’atteggiamento della Sovrintendenza è sconcertante – sottolinea Massimo Rossi – all’entrata in vigore del codice beni culturali sono state previste due possibilità. La dichiarazione di determinato immobili come beni culturali o dopo i 70 anni di tempo e se dichiarati tali da una commissione su segnalazione della pubblica amministrazione o di un privato. Nel 2005, 12 anni fa, una commissione ritenne che questo bene non fosse di carattere culturale. Erano anni diversi, l’immobile era più giovane. Il 29 marzo 2016 abbiamo fatto un esposto alla direzione generale dei beni culturali e al ministro chiedendo un nuovo procedimento di riconoscimento della Casina delle Rose come Bene culturale. Abbiamo allegato una cartolina del 2 maggio del ’49 che ne attesta la storia. La risposta arrivata il 16 gennaio dice, visto il verbale della riunione 19 dicembre, che era già stato valutato e deciso che lo stabile non era tra includere tra i beni culturali. Se raffrontiamo i criteri della Sovrintendenza con altre situazioni, pensiamo a Ballarin di San Benedetto dove viene evidenziato il valore etnoantropologico e per questo riconosciuto come patrimonio culturale, vediamo la diversità di trattamento”.
Non resta dunque, nel caso, di aspettare lo scoccare dei 70 anni:” la cartolina che abbiamo trovato è del 2 maggio del 1949, sicuramente l’inaugurazione dell’hotel non coincide con la fine dei lavori” aggiunge la Torresi.
Da qui il messaggio finale all’amministrazione Calcinaro: “Cercheremo in tutti i modi di ostacolare questa scelta perché lo riteniamo doveroso”.
L’INTERNO DELLA CASINA DELLE ROSE OGGI
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