di Sandra Amurri
Massimo era un instancabile cercatore di umanità. Umanità sofferta, felice, quella che trovi nelle pieghe della follia al confine fra quella normalità, così cara ai mediocri, e l’eccesso dei sognatori ribelli. Era un assiduo frequentatore di se stesso, non per spirito narcistico, ma per quel bisogno profondo di tenere a bada la sua fragilità.
Massimo, per dirla con Gandhi non aspettava che passasse la tempesta, sapeva danzare sotto la pioggia. Sapeva inzupparsi e lasciarsi asciugare al sole. Così come sapeva che “l’ironia salverà la vita” tant’è che ne faceva uso abituale. Ma le sue battute non erano mai cattive perchè la sua sensibilità impediva alla cattiveria di prevalere.
Lui sapeva bene che la vita, come la descrive Eduardo Galeano, è un viaggio con molti più naufraghi che naviganti. E popolate da tante donne, aggiungo io. Quell’universo femminile che lo incuriosiva non per un solo banale desiderio di conquista, ma per quel suo costante bisogno di mettere a nudo la sua anima, di raccontarsi, di condividere, di sentirsi amato. Sì aveva un gran bisogno di amore. E l’amore, si sa è come i fiori, ha molti nomi, molti colori e molti profumi.
Ecco lui avrebbe voluto coglierli tutti, poi nel conservarli, qualche volta andava in confusione, si incartava, perchè i nuovi amori faticano a convivere con quelli vecchi ed ecco, allora che si alzava il sipario e l’attore che era in lui entrava in scena e quella fantasia che tutto confonde e tutto restituisce, non aveva più confini. Dei legami, invece, aveva grande cura. Vi dispenso le perfomance con il “suo maestro”. Giorgio con uno sguardo gli suggeriva la provocazione per la vittima di turno, e lui, senza esitare, la traduceva in parole. Quella che chiamavano la pagliacciata, era in realtà un pezzo d’arte. Ciao instancabile cercatore di umanità, sono certa che anche tu, come Oscar Wilde,” il Paradiso lo preferisci per il clima e l’Inferno per la compagnia”.
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