Martino, Marco, Amedeo:
‘sempliciotti’ che fanno paura

 

amedeo marco martino

di Paolo Paoletti

poMette le bombe è come fa na rissa co la lama in mano. Vi sembra di essere grandi, ma siete solo codardi senza palle“. Con queste parole Martino Paniconi, 44 anni, uno dei due bombaroli fermati questa notte dai carabinieri, ‘sfidava’ i terroristi dell’Isis facendo riferimento ad una scritta apparsa su un muro. E ancora, nelle ultime settimane, tanti messaggi di solidarietà e vicinanza ad Amedeo Mancini dopo le vicende legate alla morte del nigeriano Emmanuel:  “Me so rotto li coglioni a sta zitto. Amedeo fratello e amico mio!!!!!!” e ancora “Lutto cittadino. Per li ferma’ disoccupati che se rrampica su li specchi. Amedeo fratello e amico mio!!!!!!“.

C’erano poi le parole di disprezzo dei confronti di don Vinicio Albanesi: “Don Vinicio, sta ota non si fatto li conti giusti. Incula’ l’Italia e’ na cosa. Incula’ li Ferma’ e un amico ultras e nnatra cosa. Don Vinicio rubba do poi rubba‘”.

Don Vinicio

 

Decisamente diverso il profilo caratteriale dell’altro fermano accusato, Marco Bordoni, 3o anni, detto ‘il lupo’. Nessuna pagina social, un lavoro come spazzino ed una presenza più defilata.

Martino, Marco, Amedeo, sono tutti accomunati dall’etichetta di ultras della Fermana. In realtà, come spiegato questa mattina dallo stesso procuratore, l’appartenenza alla tifoseria è un aspetto marginale di due vicende che non hanno nulla in comune.  I tre si conoscevano, questo sì, ma erano anche volti noti in città. I fatti di Amedeo Mancini e le bombe messe di fronte a 5 chiese del fermano da Martino Paniconi e Marco Bordoni non presentano collegamenti.

A tracciare un identikit che rende bene l’idea di chi abbiamo di fronte, sono stati questa mattina il procuratore Domenico Seccia ed il sostituto procuratore Mirko Monti: “Non c’è un collegamento, l’unico punto di contatto è che si tratta di soggetti che vengono dal mondo del tifo organizzato, soggetti che frequentano lo stadio. Mi sento di negare che esista un movente di natura politica.  Sono stati rinvenuti elementi che potrebbero far pensare a una matrice di origine diversa da quella di estrema destra, ovvero anarchica. Siamo di fronte però a soggetti il cui substrato culturale è molto basso”.

Un gesto contro le istituzioni e il potere, che nasconde dietro vite non facili di emarginazione. Don Vinicio li ha Post 1chiamati ‘sempliciotti’. Non per questo sono meno pericolosi, anzi. Vivevano con le loro madri vedove a Capodarco.  Comportamenti frutto della superficialità, di pregiudizi razziali e rabbia verso le istituzioni alimentata da slogan di facile impatto. A pesare, su tutto, la mancanza di cultura. Questo incide ancor più  di un vero o presunto credo politico del quale probabilmente non conoscono neanche la storia ed il significato. Anarchici? Fascisti? Comunisti? Leghisti? Ultras? Etichette che nascondono un preoccupante disagio sociale di provincia che le istituzioni  non possono fare a meno di non affrontare. E’ questa la battaglia di Don Vicino Albanesi, che nei giorni scorsi ha assunto toni troppo mediatici, questo è vero, ma che resta fondamentale per evitare il ripetersi di fatti simili.

Era il 6 luglio scorso quando Paniconi scriveva: “Finchè vivrò combatterò. Morte al potere e gli infami“.

 

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