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La solidarietà non dovrebbe ricostruire ospedali e scuole ma tessuti sociali

SISMA - Le iniziative di solidarietà post terremoto dei privati dovrebbero essere di sostegno a tutti coloro che non hanno aiuto nell’immediato né forse in futuro.

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Di Nunzia Eleuteri

La solidarietà è un atteggiamento spontaneo etico e sociale verso altri. Un atteggiamento che fa onore alla nostra terra italiana in queste settimane post terremoto.

Presi dall’emotività, però, si perdono spesso di vista alcuni aspetti importanti e si pensa all’adempimento senza pensare all’obiettivo. E’ così che si incappa in spiacevoli situazioni che sono vere e proprie truffe oppure, più semplicemente, in raccolte fondi che non hanno ragion d’essere come quelle per le ristrutturazioni di scuole e ospedali.

Non è la solidarietà dei privati che dovrebbe pensare a questo. Ci sono le istituzioni preposte: governo, regioni, province, ecc. E quando le istituzioni faticano a trovare le risorse per provvedere alla sistemazione degli edifici, non esitano (figuriamoci!) a inserire tasse straordinarie ai cittadini, come avvenuto con l’accise aggiuntiva sulla benzina destinata alla ricostruzione de L’Aquila. Senza entrare nel merito della gestione; sarebbe davvero complesso.

Le iniziative di solidarietà post terremoto dei privati (tante ne sono state e tante ce ne sono ancora) dovrebbero essere di sostegno a tutti coloro che non hanno aiuto nell’immediato né forse in futuro.

Una raccolta fondi dopo un sisma andrebbe destinata in primis a chi ha perso la casa e sta andando incontro ad una stagione avversa, a chi ha perso il lavoro, alle fasce più deboli come gli anziani e i bambini, ai commercianti che hanno visto precipitare gli incassi perché poche persone escono a passeggio e i turisti evitano i paesi terremotati ritenendoli rischiosi. Un lungo elenco di necessità si potrebbe scrivere.

Non è comprensibile dover aprire conti correnti e dover organizzare eventi destinati alla raccolta fondi per la ricostruzione di ospedali, scuole ed edifici vari. C’è chi ha il dovere di provvedere a questo. Chi ricostruirà, invece, il tessuto sociale senza aiuti pubblici?

 

In senso contabile vero e proprio, poi, come verrebbero gestiti questi fondi una volta terminata la raccolta? Versati nelle casse di chi? Della regione? Dell’Asur? Della provincia? Pagando che cosa? Quali lavori esattamente? E se quella scuola o quell’ospedale dovessero chiudere per i tanti motivi che sono ormai all’ordine del giorno (riduzione classi, nuove leggi, spostamenti di reparti,…), che ne sarebbe dei sacrifici di chi ha donato i suoi euro?

Allestire un ospedale da campo per emergenza può corrispondere ad una gara di solidarietà, ristrutturarlo no. Motivi per aiutare gli altri ce ne sono in quantità. E il cuore degli italiani, marchigiani o fermani, dimostra sempre di essere attento e disponibile.

Che sia però una solidarietà che non vada a sovrapporsi ai DOVERI dello Stato.

Uno Stato assente in troppe situazioni. Ed è in quelle che si dovrebbe intervenire con un aiuto in forma privata.

 


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