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Istantanee dal Ghana,
l’ultimo scatto:
alle sorgenti dell’emozione

Ghana

di Marco Renzi

foto Francesca Renzi
L’ACQUA PIOVANA – Ogni giorno partiamo dalla missione per raggiungere uno dei tanti villaggi attorno ad Abor e nella Regione del Volta, riempiamo uno dei pulmini liberi e andiamo, quello che l’autista ha preso stamattina è un Fiat Ducato che avrà sulle spalle non sò quante centinaia di migliaia di chilometri di queste strade, il suo aspetto in merito alla tenuta non è certo rassicurante. Fatta mezz’ora di strada infatti cede, fortunatamente davanti ad un piccolo villaggio di povere case in terra. La linea dell’equatore passa poco sotto al Ghana e qui quando il sole esce si fa sentire. In attesa che dalla missione arrivino con un mezzo sostitutivo scendiamo a prendere un pò d’ombra sotto uno degli alberi vicini, si vedono un paio di persone e nulla più. Passano dieci minuti e arrivano bambini, poi donne, uomini, anziani, persino l’immancabile venditore dei biglietti delle lotterie nazionali sbuca dal suo microscopico baldacchino dipinto con i colori sgargianti della bandiera nazionale: rosso, giallo e verde. Sono arrivati i bianchi e questo fa ancora notizia. Chiediamo come mai i bambini non sono a scuola e ci rispondono candidamente che non hanno soldi per andarci, allora non si può fare a meno di volgere lo sguardo verso questi ultimi tra gli ultimi, con i loro occhi vispi e sempre allegri e si resta increduli nel pensare che a loro non è dato neanche sedersi in una capanna definita aula, su un banco sgangherato, con mezzo quaderno e se va bene una penna, neanche questo, allora cosa? Che possono fare questi bambini esclusi dalle scuole persino dell’ultimo paese del mondo? Chi li ha condannati a tanto e per quali colpe commesse.

Ghana

Al centro del villaggio c’è un pozzo, un’iscrizione sul cemento dice che è stato attivato nel 2002, alcune donne tirano su taniche da dieci litri attaccate ad una lunga corda, il pozzo è molto profondo, versano l’acqua in un ampio recipiente di metallo, quando è pieno ci mettono dentro una grande tanica, circa 50 litri, riempiendola con una ciotola. Resta ora la parte più faticosa dell’intera operazione, portare l’acqua a casa, e dov’è sarà questa casa nessuno lo sà, potrebbe essere dietro l’albero come pure in un altro villaggio. Mentre tutto ciò accade non si può non fermarsi un attimo sul movimento automatico che apre e chiude il nostro rubinetto, all’azione del lavarsi le mani e alla diversità di fatica richiesta. E’ allora che ogni dubbio svanisce, questo è un altro pianeta, gira ugualmente attorno al sole, ma è diverso.
Arriva il mezzo sostitutivo dalla missione, salutiamo e ci guardiamo con lo stesso punto interrogativo sopra la testa, ponendoci entrambi domande sulla reciproca vita.

Dopo un’altra mezz’ora di viaggio si arriva alla scuola di destinazione, quelli della missione a suo tempo l’hanno costruita e poi donata allo stato ghanese che ora la gestisce. Al centro dello spazio di terrà fa bella mostra di se la bandiera nazionale mossa dal vento, come da prassi veniamo accolti dall’equivalente del nostro Preside e immediatamente dopo si tiene l’incontro con tutti gli Insegnanti, quindi ci si prepara per lo spettacolo. I bambini vengono fatti confluire nello spazio più grande, soni oltre 500, in questo paese ci sono più bambini che fili d’erba, sono ovunque e la nostra accompagnatrice ci dice che è così in tutta l’Africa, effettivamente anche in Etiopia ce n’erano tanti ma qui , come i pani e i pesci, sembrano moltiplicati. Lo spettacolo è oramai una festa collaudata dove ogni volta torniamo a meravigliarci dell’attenzione e del calore. Al termine tutti in cortile, è tempo di mangiare. Il solito punto ristoro della scuola, quello gestito da gente esterna, viene preso d’assalto e subito dopo diversi sono in giro con una ciotola di plastica da dove, con le mani, mangiano riso e altro che non conosco. La fila intanto è diventata enorme. Dietro un cannicciato ci sono due recipienti, uno con detersivo e l’altro con solo acqua, chi ha mangiato riporta la ciotola che viene immediatamente lavata e passata ad altri, tutto con la stessa acqua che oramai è diventata marrone. La scena più bella è quella del bere. Su uno dei capannoni sono istallate delle grondaie, cosa alquanto rara, da queste partono due tubi, uno si getta in un grande bidone di plastica chiuso e l’altro in una vasca circolare di cemento anch’essa chiusa che ha la forma di un otre con un tappo di legno ala sommità. Il bidello solleva il tappo e tutti si assiepano intorno, riempiono il bicchiere di plastica e bevono di gusto. Miracolo della pioggia.
Prima di andarcene chiedo di visitare un’aula speciale che vedo attaccata alla baracche in muratura, evidentemente l’hanno aggiunta per soddisfare le richieste in continuo aumento. Sono quattro pali che reggono un tetto di paglia, tutto qui, sotto tanti banchi allineati e una lavagna a chiudere lo spazio.

Ghana
IAVU’ – “Iavù, iavù”, ogni volta che passiamo per strada o nei mercati, questa è la litania che sentiamo ripetere significa uomo bianco, i più simpatici a dirla sono i bambini, allungano il finale come se fosse l’ululato di un lupo, la dicono ridendo ed effettivamente è buffa. Una volta capito che non c’è cattiveria ci divertiamo anche noi, spesso li anticipiamo creando un effetto ancora più comico. E’ bello vedere come nonostante tutto non ci siano pregiudizi razziali nei nostri confronti, dico nonostante tutto perchè se pensiamo per un attimo alle politiche coloniali, alle deportazioni nelle piantagioni di cotone americane, al mercato degli schiavi e alle infinite sofferenze inflitte a questi popoli, la cosa non deve essere data per scontata. Ad ovest della capitale, Accra, precisamente a Cape Coast, posto che visiteremo alla fine del nostro lavoro, c’è ancora bene eretto un castello dove ammassavano i ghanesi strappati dai loro villaggi per imbarcarli e portarli a vendere nelle terre americane, tutto questo è accaduto non sei miliardi di anni fa, ma solo pochi istanti indietro. Alla luce di questo il loro “Iavù” è il minimo che possiamo aspettarci, riderci entrambi sopra è certamente la cosa migliore.
ALLE SORGENTI DELL’EMOZIONE – Abbiamo concluso il nostro giro di spettacoli in un piccolo villaggio sperduto nel cuore della foresta ghanese, un logo che somiglia più ad una pagina vivente della preistoria che a qualcosa del XXI secolo, in attesa di cominciare riesco a fare un giro tra le capanne di terra che sorgono poco distanti dall’edificio in muratura che ospita scuola e chiesa, il silenzio è totale, rotto solo dagli uccelli e dal vento, due signore nei loro lunghi abiti colorati sono sedute accanto al fuoco e cucinano, nel frattempo mangiano una polenta inzuppandola in una ciotola con dei fagioli, ogni tanto passa qualcuno e si salutano, viene un’altra donna e prende dei carboni accesi dal fuoco, ringrazia, gli serviranno per accendere il proprio. Tutto galleggia in una bolla di irrealtà e di serenità che rimanda al tormentone di questo viaggio: sarà meglio lasciarli senza partita iva o aiutarli ad averne una?
Poi lo spettacolo comincia, mi dicono che è la prima volta che assistono a qualcosa del genere e le reazioni sono davvero impressionanti, c’è un momento in cui viene sputato del fuoco e fatta una fiammata, una ragazza abbastanza grande, seduta in prima fila, è caduta all’indietro, si è rialzata ed è scappata fuori non rientrando più. Vedere queste emozioni sgorgare allo stato puro è davvero una cosa che lascia senza parole e che vorremmo tutti poter vivere con gli occhi di questi ragazzi ghanesi. L’uscita del cane “Ciccillo” che morde il povero Pucinella non può essere fotografata, solo vissuta.
Questo è il penultimo scatto che vi invio, il prossimo sarà riepilogativo e con molta probabilità lo scriverò in Italia. Grazie a Cronache Fermane e grazie a tutti voi che avete seguito questo diario.

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