Il cane Tito, ultimo abitante di Forca
di Federico De Marco
Si chiama Tito, è l’ultimo abitante rimasto a Forca, frazione di Montegallo, dopo il sisma del 24 agosto. È solo un cane, ma non ha voluto abbandonare i luoghi che l’hanno cresciuto. Tra le tante storie che arrivano dalle zone terremotate c’è anche la sua. Una piccola storia che però non è minore rispetto al dramma degli abitanti della frazione nell’entroterra ascolano, a pochissimi chilometri dal Maceratese e dal Fermano. Tito non ha un padrone, o meglio, non ne ha solo uno. È solo dal giorno del terremoto. Era il cane del paese, tutti lo coccolavano, chi con un osso, chi con qualche pezzo di carne. E lui ora è il simbolo della speranza che è anche quella della gente del posto che non vuole abbandonare i muri e le strade della propria quotidianità. La presenza di Tito significa che qui può tornare la vita, e Tito aspetta che il paese si ripopoli.
Una casa a Montegallo
Quando siamo arrivati in auto a Forca per vedere la situazione e scattare qualche foto, Tito ci ha accolto felicissimo, Cicerone a quattro zampe, ci precedeva come per dire “venite che vi mostro io la strada, vi faccio fare il giro del paese”. D’inverno a Forca, in tempi normali, vivono meno di dieci famiglie ma d’estate si riempie e la terribile notte del 24 agosto c’erano ben 180 persone, molte delle quali di lì a poco sarebbero ripartite. Non ci sono stati crolli strutturali ma la condizione di inagibilità ha provocato il totale svuotamento. Tito è un cagnolino molto intraprendente. Qualche volta viaggia per qualche giorno, arriva nella frazioni vicine, ma poi ritorna sempre nel suo paese. Non lo lascia. Neppure ora che a Forca regna il silenzio e sta diventando un paese fantasma. La leggenda narra che il nome di Forca deriva dal fatto che nella piazza era posizionata una forca nella quale venivano impiccati i briganti. Tito è diventato un simbolo del senso di appartenenza.
Il paese è completamente abbandonato
Lo stesso senso di appartenenza che impedisce alla popolazione di Montegallo di allontanarsi dalla proprio terra. Tutti cercano di adattarsi alla tendopoli, ai container e alle mense comuni. Qualcuno vive nella roulotte sotto casa, qualche famiglia viene smembrata e ospitata da amici. La fatica è molta e la vita non è facile specialmente in vista dell’inverno. Però la voglia di ricominciare e ricostruire tutto sovrasta qualsiasi altro sentimento. A poco più di un mese dal sisma, questo sentimento di attaccamento alla propria terra lo racconta Sergio Piciacchia, di Balzo, che la notte della scossa ha perso diversi familiari e a mani nude ha estratto vivo dalle macerie il nipote Mattia: «A Pescara c’era una scena apocalittica, il paese era completamente distrutto, sembrava che lo avessero bombardato. Dopo due ore e mezza, con tantissima fatica, siamo riusciti a tirare fuori mio nipote Mattia fino al ginocchio, era l’unico che rispondeva».
La farmacia container del dottor Ettore Fabiani
La farmacia del dottor Ettore Fabiani è stata riadattata in un container. «E’ stata molto dura perché io, come molti, – racconta – ho avuto la doppia inagibilità, quella della casa e quella dell’attività. Abbiamo vissuto difficoltà estreme, giorni senza telefono e senza corrente». Il sindaco Sergio Fabiani dice: «La vita è completamente cambiata ma cerchiamo di fare come sempre seppur in container e altri supporti di fortuna. Cerchiamo di riportare tutto alla normalità e al meglio che si può. Ma di una cosa siamo sicuri: noi montanari abbiamo deciso di rimanere qui». Neppure la signora Maria Santini ne vuole sapere di andarsene. Novantuno anni, lucidità unica, cura il suo orto come sempre, anche se confessa che lo fa solo col bel tempo. E balla alle feste. «Io non me ne vado da qui terremoto o non terremoto. Sono stata in molti posti ma il mio paesello è il più bello di tutti».
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