di Paolo Paoletti
Un anno in cui la chiesa fermana è stata chiamata ad affrontare molte prove ma allo stesso tempo che ha portato ad una grande crescita del senso di carità e misericordia. Quella di ieri, in occasione della chiusura della Porta Santa, è stata una cerimonia speciale. Non solo perchè non si è svolta all’interno della cattedrale, lesionata dal sisma, ma anche perchè arriva dopo un anno fatto di numerose prove per la Chiesa e la comunità fermana. Gremita la tensostruttura allestita per l’occasione. Tanti fedeli dell’Arcidiocesi hanno risposto all’invito di Mons. Luigi Conti. E sono state proprio le parole dell’Arcivescovo a rendere ancora più significativa la cerimonia di ieri.
“Mentre chiudiamo un tempo di Misericordia, che è stato per noi un tempo favorevole, siamo messi alla prova ma siamo anche confortati dalla certezza di fede – ha esordito Conti – Forse ricorderete che il 13 dicembre scorso abbiamo aperto l’anno della Misericordia. Quel giorno il Vangelo poneva una domanda. La domanda delle folle che andavano a farsi battezzare sul Giordano da Giovanni Battista. Ed era: Che cosa dobbiamo fare? Giovanni Battista rispondeva: chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha, chi ha da mangiare faccia ugualmente. Anche gli esattori delle tasse, andavano da Giovanni e chiedevano: che cosa dobbiamo fare? Giovanni rispondeva: non esigete più di quello che è necessario. Ai soldati rispondeva: non fate violenza a nessuno rispettate tutti”.
Poi il riferimento ai fatti d’attualità: “Devo riconoscere che il cammino di questo anno della Misericordia è stato segnato da una grande crescita del senso di carità, contemporaneamente ad alcune prove che abbiamo subito come chiesa locale. E’ inutile che vi ricordi le bombe davanti alle chiese, la morte di Emmanuel e il terremoto. Quest’ultimo abita dentro di noi, diversamente da altre vicende. E’ successo a noi ciò che in qualche modo anche il Vangelo di oggi descrive. Sembra che Gesù abbia anticipato i telegiornali dei nostri tempi. Dove si parla di di guerre. Pensiamo alla Siria, all’Iraq alla città di Mosul, alla Libia, alle violenze interminabili. Pensiamo alla fame che tante popolazioni vivono drammaticamente. Bisogna che torniamo all’inizio del nostro cammino. A quella domanda: noi che dobbiamo fare? Sono certo di poter dire che abbiamo vissuto le opere di Misericordia, alcune in maniera straordinaria, davvero è cresciuta tanto la carità tra noi. Direi che l’ultima vera grande consolazione, a me personalmente l’ha portata, proprio il terremoto perchè ho visto gente riconciliarsi dopo 25 o 30 anni di liti. Forse perchè abbiamo compreso che insieme possiamo aiutarci e vivere nella Fede, divisi e separati decidiamo la nostra rovina“.
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