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Rischio fallimento per la Comunità di Capodarco di Roma: la lettera aperta di Don Franco Monterubbianesi

SOCIALE – Grave la situazione debitoria della struttura, ma l'uomo dalle sfide impossibili rilancia rimarcando l'importanza per il Lazio come per le Marche di una storia nata 50 anni fa

di Don Franco Monterubbianesi

Siamo in un momento tragico dal punto di vista finanziario che non possiamo nascondere: la Comunità Capodarco di Roma, per i debiti con il fisco e con le banche, nella difficoltà economica che sempre ha avuto è ora sull’orlo del fallimento.

Un situazione che si protraeva da anni, su cui ancora non si è fatta chiarezza sulle varie responsabilità degli amministratori, ma i revisori dei conti ci dicono che le varie assemblee degli anni passati, i vari presidenti, venivano informati della situazione finanziaria, ma si diceva loro di andare avanti comunque, eludendo le tasse, e aumentando il debito con le banche, senza tanta consapevolezza del pericolo che si creava; sino al momento presente, di non poterne più nella strettoia che lo Stato ha posto, in maniera tanto stringente, che dobbiamo proclamare purtroppo che è impossibile assolvere la debito, nei limiti del bilancio produttivo che si ha delle attività.

Questa è la situazione che abbiamo, che ci deve tutti unire per affrontarla. Negli ultimi anni si è già ricorso a varie vendite, anche di realtà connesse a progetti di sviluppo, ma non sono state sufficienti. Ed ora non se ne può più. Equitalia ci ha imposto delle rate impossibili. Allora la Comunità Capodarco di Roma deve fallire? Deve chiudere come qualcuno spietatamente dice?

E’ assurdo! E’ impossibile!

Lo proclamo con la forza del valore che siamo per la società. E qui una estrema consapevolezza che voglio suscitare in tutti: se lo Stato ha tante colpe nel passato, per la sua politica sociale, se quindi è colpevole anche esso della nostra situazione finanziaria, che ci faceva sfidare di andare avanti per produrre socialità avanzata, nonostante tutto, ora ci venga in contro a decurtare il debito, così da poterlo trattare nei limiti del possibile e del giusto.

La nostra convenzione con le ASL è ferma al 2001! Abbiamo ricorso, anche se tardivamente, al Tar del Lazio, ma tutto tace. E poi l’adeguamento sarà retroattivo per gli anni passati? E negli anni passati abbiamo mai avuto l’adeguamento dei costi che il nostro modello particolare, non assistenziale – per cui più costoso – imponeva, e per cui l’80% dei nostri costi è per il personale, dovendo favorire l’integrazione?

L’assistenzialismo ha sempre prevalso, e noi abbiamo dovuto pagare, arrangiandoci, le incomprensioni del nostro modello. Anzi, sono venuti a spegnere ogni processo di crescita culturale del sistema, con i tagli operati su tutti i fronti, anzitutto del sociale, ridotto mano a mano al nulla, ed anche persino del sanitario. Noi abbiamo osato andare avanti, anche con degli acquisti di immobili che stabilizzavano e sviluppavano la nostra realtà, ma mai abbiamo avuto contributi a fondo capitale. I mutui hanno aggravato gli interessi bancari, che si sono accresciuti in un sistema bancario usurario. I ministri della salute che si sono succeduti ci dicevano di difendere il nostro modello, ma mai una mano concreta su tale piano.

La mancanza di visione dello Stato sul welfare è pesata alla grande nella nostra situazione economica. Abbiamo sbagliato a fidarci, ma non siamo solo noi i colpevoli. E poi, con queste situazioni che non sono solo nostre, che fine deve fare il welfare ora?

Questo è allora il grido che come fondatore della Comunità faccio, e che rivolgo innanzitutto ai miei, perché si alzi la testa, si rivendichi la nostra dignità, anche di trattare la situazione incresciosa, con uno Stato che è correo con noi, in maniera assoluta e con forza!

Proprio ora nello spirito di questo Natale del 2016, in cui ricorre il 50esimo anno della nostra vita, perché siamo nati precisamente nel Natale del ’66, mentre Famiglia Cristiana, proprio nel numero di Natale, per ricordare questo anniversario titola “La rivoluzione di Capodarco”.

La “rivoluzione di Capodarco” dicendo in sintesi tutto ciò che in 50 anni abbiamo rappresentato di rinnovamento per la società italiana. Tutti ci conoscono in Italia per quello che di grande abbiamo fatto e stiamo facendo coi giovani di oggi. Il film “Utopia che si fa storia” proiettato nel primo convegno sul 50esimo di novembre dice l’appartenenza a Capodarco di 14 realtà diffuse in Italia.

Poi c’è anche il Movimento di Capodarco, più ampio, che agisce in tanti territori, anche se non più collegati. L’ultima celebrazione del 27 e 28 dicembre proprio a Capodarco sulla forza ispiratrice del passato proclama tutta la tensione di nuovi 50 anni da inaugurare e volere profondamente con i giovani di oggi che devono essere i veri protagonisti della lotta contro la loro emarginazione.

Essi, nella loro idealità possibile, affrontando con forza le altre emergenze ora sul tappeto, come quella che è arrivata al pettine del “dopo di noi” su cui stiamo lavorando da tempo, e siamo riusciti a fare la legge 112/2016. Così come quella emergenza gravissima dell’integrazione dei migranti.

Dal Lazio alle Marche, ove siamo molto presenti ed operativi, con il nostro coinvolgimento con loro, noi abbiamo una vera prospettiva di rilancio cui non possiamo rinunciare col fallimento. Così come l’articolo di Famiglia Cristiana auspica che la rivoluzione continui. Su tale prospettiva delle Marche e del Lazio sto lavorando da tempo, ed ora sto chiedendo a Papa Francesco di farsi sensibile al nostro lavoro, non solo per la sua sensibilità, ma con un vero lavoro di Chiesa di base, nei Vescovi che già stiamo coinvolgendo.

Se la Chiesa vuole, come ora vuole veramente, uscire e far uscire dall’ottica assistenziale e pietistica, ed aiutare i poveri con l’economia e sognare il loro sviluppo integrale, dobbiamo collaborare su ciò profondamente con la Chiesa. Già nella CEI c’è funzionante il progetto Policoro che punta al coinvolgimento dei giovani alle opere sociali. Noi di Capodarco, nel colloquio sempre grande che abbiamo avuto coi giovani, nella dimensione del “glocale”, cioè del mondiale e del locale, possiamo molto promuovere lo sviluppo della loro speranza di vita.

Speranza viva per un mondo oggi invece vuoto di Fede e d’Amore. Questo mondo, se vuole cambiare, deve ripartire proprio dai giovani, più puri di noi adulti, invece compromessi in tanti limiti di individualismi, personalismi e di poteri falsi.

Per cui, giungendo alla conclusione di un messaggio radicale che voglio dare a tutti per reagire, dico: noi adulti di Capodarco, nei vari ruoli di potere ma anche di azione, che abbiamo, nel rivendicare fortemente presso lo Stato la continuità della nostra azione che vale nonostante tutto e non può fallire, che sia di frontiera o di funzione concreta, come le due anime di cui parla l’articolo di Famiglia Cristiana, dobbiamo essere purificati dai nostri limiti di cui uno purtroppo lo abbiamo tutti, nessuno escluso, che è le nostre divisioni nell’agire di queste due anime.

L’anima utopica è rappresentata da me, nella tensione che ho sempre avuto verso il nuovo che emerge e che va affrontato con fede, e l’anima funzionale concreta dei servizi forti che mettiamo in piedi, che è rappresentata da don Vinicio e dalla realtà delle Marche.

La divisione che purtroppo a volte è nata ci ha portato a tanti mali e sofferenze, e soprattutto ad una debolezza nostra di fronte al potere che negava il nostro valore. Ci ha imposto così la burocrazia, spegnendo anche la nostra idealità possibile. Dobbiamo confessare questo limite anche perché tanti ci dicono che è la nostra debolezza. Se la situazione oggi difficile da affrontare vuole questa unità profonda, in cui ci sentiamo tutti responsabili di ciò che è accaduto e di come affrontarlo, per vivere anche questa unità alla grande, per dare ai giovani con noi l’arditezza del loro agire per il rilancio del welfare, che può essere meraviglioso, facciamo questo sforzo di unità profonda. Facciamolo umilmente davanti a Dio, che ci sorreggerà nello sforzo di verità. E andiamo insieme dal nostro Papa Francesco, dicendoci disponibili nel meglio del nostro operare unitario con la Chiesa, perché questo rinnovamento dell’operare per l’integrazione di tutti gli emarginati si faccia veramente, nella Chiesa e nella società.

Auspichiamo, la continuità del nostro operare e di quello che valiamo per il sociale, dalle Marche al Lazio e dal Lazio alle Marche, anche per questa opera di ricostruzione dopo il terremoto. Con l’idealità dei giovani da far partecipare, formandoli profondamente a ciò. Con adulti a loro vicini sia nel Lazio che nelle Marche, sostenendoli concretamente nella loro azione.

E noi, per affrontare la situazione debitoria, dobbiamo costruire un gruppo interno di lavoro tra le persone più disponibili, anche tra gli amici, per trattare con lo Stato. E fare un vero piano anche tecnico, e qui il discorso deve farsi concreto, di un vero gruppo di tecnici, per la risoluzione del debito, che non ci impedisca di lavorare, e che sia, pur nel rigore che occorre, risanabile.

Capodarco deve continuare nella forza della Fede con Gesù risorto, che ha fatto sempre la nostra profonda identità ed azione. Osiamo sperarlo ma soprattutto osiamo farlo nella grande azione futura che ci aspetta con i giovani.

Questo grido tocchi il cuore e l’intelligenza di tutti, comunitari, collaboratori, amici, anche per rinnovare la coscienza di appartenenza di ciascuno, perché dal male della situazione può venire un bene più grande, cioè un nuovo spirito di impegno individuale e collettivo. Una rinascita vera della idealità che dal basso muoverà anche la politica a cambiare, estrema necessità del presente.


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