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Terremoto, il grido di Lina: “Non possiamo più aspettare, dateci la possibilità di rimanere altrimenti questa terra muore”

di Andrea Braconi

“Non c’è il tempo di poter aspettare per far rinascere questi luoghi. E siccome io ci credo…”. Lina Giorgi, una delle responsabili della Pro Loco nonché referente comunale per il Castello di Arquata del Tronto, non guarda mai il mio registratore acceso e neanche il taccuino di Teresa Valiani, giornalista dell’agenzia Redattore Sociale che, con i fotografi Giovanni Marrozzini (leggi qui) e Gianfranco Mancini, è qui per documentare una comunità ferita e le lacune di un meccanismo che, rispetto al 1997, sembra esserci inceppato.

Con lo sguardo Lina fissa la sua Arquata, quelle macerie in alto che sembrano ancora urlare. Lì sotto sono sepolti anche gli abiti per la Quintana, rievocazione storica della città di Ascoli Piceno che vede sfilare da oltre mezzo secolo anche il suo piccolo Comune.

IL GONFALONE E LA POLVERE DA TOGLIERE

“Eravamo il castello storico, quello che apriva e con il numero più importante di partecipanti tra i 9 castelli: ben 18 persone, ma abbiamo abiti per 30. La Quintana si fa il secondo sabato di luglio in serale e la prima domenica di agosto, poi il 19 agosto qui ad Arquata facevamo sempre la rievocazione Alla Corte della Regina”.
Il 23 agosto, il giorno prima delle terribile scossa, in sede aveva rimesso tutto quanto in ordine, vestito per vestito. Oggi è tutto lassù, coperto e inaccessibile, ma anche grazie all’impegno del sindaco (leggi qui) si sta cercando di reperire qualcosa per l’estate. “Un po’ ce li presteranno da Ascoli, poi da Siena ci hanno contattato. Vedremo, ma dobbiamo fare di tutto perché poi a luglio vogliamo tornare a sfilare, assolutamente, anche per rispetto a loro che sfilano dal 1954″. E indica alcuni anziani, all’interno del container dove sono sistemati i dipendenti del Comune, tra una foto del Presidente della Repubblica e scatoloni ammassati.

Sfilerà, quindi, il gonfalone di Arquata, perché non ci può e non ci si vuole fermare. Diversa è la situazione per Alla Corte della Regina: “Lì è da stabilire dove, come e quando, Sopra no sicuramente, non ci sono le condizioni, è impensabile, non c’è neanche più la strada per arrivare al vecchio paese. È tutto a terra”.

CHI NON RESISTE

Quando rifacciamo il punto degli effetti del sisma partendo dalle vittime, la sensazione è che nel confermarci il numero Lina riveda ogni singolo volto. “In tutto abbiamo avuto 49 morti a Pescara del Tronto e poi altre 2 persone, per un totale di 51”. Ma è il presente che fa più paura. “Stiamo avendo tanti decessi di anziani dopo il terremoto, qualcuno si è lasciato andare, non è riuscito a reggere allo stress. Anche mia zia non ce l’ha fatta. Dopo il 24 agosto è voluta rimanere qui, non si è voluta spostare, anche se aveva bisogno di ossigeno. Dopo il 30 e l’evacuazione totale ha fatto 3 giorni di hotel, l’abbiamo ricoverata e piano piano è morta. Non lo reggono questo trauma, hanno una prospettiva diversa dalla nostra”.

DOVE ANDAVAMO

Erano circa 1.100 gli abitanti di Arquata, con una piacevole mescolanza tra giovani e anziani. Il terremoto, però, ha frantumato anche le abitudini. “Andavamo a prendere la ricotta a Castelluccio, andavamo a fare la spesa ad Amatrice, Norcia ce l’avevamo a 20 minuti. Oggi viviamo una sorta di isolamento, non abbiamo più nulla”.

L’INERZIA CHE DISTRUGGE PIÙ DELLE SCOSSE

Con il marito, Lina abita a Grisciano di Accumoli. Le scosse del 18 gennaio ed il peso della neve hanno fatto crollare la stalla, rovinando anche i macchinari. “Dal 24 agosto non hanno puntellato, l’unica trave l’ha messa mio marito. Se lo avessero fatto, dopo tutto questo tempo, l’impianto si sarebbe salvato e avremmo potuto continuare a lavorare. Siamo riusciti comunque a far uscire le nostre mucche da latte da lì, ma poi non avendo più nulla, avendo perso tutto, le abbiamo dovute portare al macello, tranne quelle incinta. È stato un dolore enorme”.

DATECI LA POSSIBILITÀ DI SCEGLIERE

Le sue figlie sono ad Ascoli, in un appartamento che hanno dovuto affittare, insieme alla nonna Anna Maria, una donna che, tra un ricordo e l’altro, un accenno di sorriso riesce sempre a regalarlo. Perché, dice, “si va avanti, si deve andare avanti”. “La maggior parte di noi – spiega Lina – sta lungo la costa o in autonoma sistemazione, qui non c’è una struttura agibile e non abbiamo avuto i container”.

Inutile – ci dice mentre poco lontano riecheggia l’inno nazionale, che pochi istanti dopo scopriamo essere la suoneria del telefonino del sindaco – far riaprire le scuole piuttosto che il fornaio se qui la gente non può tornare. “Se non c’è certezza sull’inizio dei lavori, su come saranno le casette – e non chiediamo una villa ma solo un minimo di dignità – questo territorio muore. E i sindaci si devono arrabbiare per primi. Mai come oggi è importante che si trascinino dietro i cittadini. Perché dobbiamo urbanizzare non si sa quando, forse a settembre? Perché non si può far partire tutto insieme con gli altri Comuni? Sono meccanismi burocratici che uno non riesce a spiegarsi. Ma non c’è il tempo di poter aspettare per far rinascere questi luoghi. E siccome io ci credo… Forse chi rimane da fastidio? Dateci la possibilità di rimanere, qui la gente non ha avuto scelta, è stata costretta ad andare via e non può tornare. Ma Arquata è sempre lì che aspetta”.


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