SPECIALE TEATRO DELL’AQUILA
Quelle poltrone rosse, dentro un gioiello unico: la riapertura nel ricordo di una mascherina

di Andrea Braconi

Di quella sera ricorda le poltrone rosse e gli spettatori che, uno dopo l’altro, riempivano la platea del Teatro dell’Aquila. Era già rientrata nei giorni precedenti, per i preparativi legati ad un evento attesissimo dalla cittadinanza. Aveva potuto osservare gli ultimi ritocchi e, soprattutto, era tornata a respirare quello spazio che non aveva mai smesso di portare dentro.

Lucia Frontoni, quell’8 marzo 1997, era una delle tante mascherine impegnate nell’accoglienza. A distanza di vent’anni, ci aiuta a rivivere quelle emozioni indelebili.

“Era così tanta la responsabilità che, lo ammetto, non ricordo chi c’era sul palco quella sera. Ma già nei giorni precedenti, durante i preparativi, le sensazioni che ho vissuto sono state tante ed intense. L’ultima cosa che avevo visto al Teatro dell’Aquila, quando c’era il cinema, credo fosse il film ‘Ricomincio da tre’ di Massimo Troisi”.

Poi la chiusura e la lunga attesa.

“Ritornare in quello splendore è stata un cosa unica. Nei giorni prima c’erano ancora dentro i restauratori che finivano di sistemare la ultime cose, i doratori che stavano ancora lì con la scala appesi. E poi queste poltrone rosse, che mano a mano prendevano posto: un’immagine che non dimenticherò mai. E c’era Manuela Vitali, l’architetto che ha curato il restauro.”

Quante mascherine eravate quella sera?

“Non ricordo quante fossimo quella sera, anche qui per colpa dell’emozione, ma nel primo periodo eravamo veramente tante, arrivando anche a 22 unità. Io ho lavorato dalla riapertura, che abbiamo curato come Teatri Comunicanti sia come gestione delle maschere che della biglietteria. E ci sono rimasta fino al giugno 2003.”

Per una persona come te, innamorata dell’arte e della cultura, cosa rappresenta il Teatro dell’Aquila?

“Sicuramente un punto nevralgico della città, un punto di incontro per tutte quelle persone che hanno una sensibilità per l’arte e per il teatro in genere. E poi un bene culturale che è aperto a tutti e di cui tutti possono godere. Io mi stupisco sempre ogni volta che entro, per quella sua bellezza così particolare. A volte siamo abituati a dare per scontato che queste cose ci siano e basta, quando invece dovremmo averne sempre cura perché sì, siamo fortunati, ma dobbiamo saperle gestire e tutelare sempre.”


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