Incontro con la scrittrice Manuela Lunati,
tra disobbedienza, libertà e poesia

Manuela Lunati

di Claudia Mazzaferro

Ci sono momenti in cui perdersi nelle parole significa ritrovarsi. E con la scrittrice Manuela Lunati è questo che accade. Come tuffarsi da uno scoglio con la paura di farsi male. Per poi scoprire che quel volo era ciò che stavamo cercando…
Ci sono indiscrezioni sull’uscita del tuo prossimo libro. Qualche piccola anticipazione per le lettrici della nostra rubrica?

L’uscita è prevista per il 2018. Sto lavorando a una galleria di ritratti di donne, diverse per età, nazionalità, stile di vita, preferenze, ma accomunate dalla capacità di ascoltare il proprio corpo, di assecondarne il desiderio – in tutte le sue forme – senza curarsi del giudizio. I ritratti sono ispirati a esperienze vissute, lette, ascoltate, perché le donne sono custodi di storie su cui si potrebbero fondare intere letterature. Al racconto scritto si accompagna qualcos’altro, grazie a una collaborazione artistica che impreziosirà il prodotto e sta arricchendo il processo. Non dirò oltre per scaramanzia.

Torniamo alla tua prima opera ‘Giochi di mano’. “Quella notte, come le altre, l’amore l’abbiamo fatto per perdonarci di aver fatto la guerra”. Parli spesso del tuo personaggio in terza persona. Ma adesso vorrei rivolgermi a te: quanto quell’amore ti ha cambiata?

Quell’amore – che oggi ho qualche difficoltà a definire “amore” – ha fatto di me un’altra donna. Una donna più vigile, ma mai abbastanza. Un donna determinata a risarcirsi: per ogni anno di umiliazione, dieci di allegria. Una donna arrabbiata, non solo per la violenza subita, ma per la cultura di cui quella violenza è frutto. Una donna che contro quella cultura ha voglia di lottare con l’unica spada che ha per ferire: la parola.

“Per una di queste ragioni, o per tutte, o per un’altra che non indovino, non ti ho denunciato. Ma mi denuncio. Qui, adesso. Prendi la penna, scrivi. In italiano, in croato, come ti pare. Scrivi. Mi denuncio per aver maltrattato me stessa, il mio corpo e quello che c’e dentro o intorno”. A distanza dalle ferite, cosa diresti oggi a una donna vittima di violenza?

Le direi di rivolgersi ad altre donne che abbiano la competenza per intervenire: le operatrici dei Centri Antiviolenza e delle Case delle Donne. Non solo glielo direi, ce l’accompagnerei.

La felicità può tornare ad essere piena se si è pronti a perdonare se stessi?

Potrò rispondere quando mi sarò perdonata. Ma credo che la felicità non esista come una terraferma in cui si approda un bel giorno per restare. Esistono, piuttosto, isole di felicità, e tra isola e isola si attraversano acque ora calme, ora tempestose. Ogni felicità, comunque, nasce da un atto di egoismo: si può essere felici solo ignorando il dolore che è intorno.

Tre parole che lasceresti in dono ai tuoi figli e che sintetizzano il tuo modello di vita.

Libertà. Perché ogni infelicità nasce dall’assenza o dalla perdita di libertà.
Disobbedienza, quella splendida virtù che nacque il giorno in cui Eva colse la mela, come Oriana Fallaci ci ha insegnato.
Poesia. La poesia delle parole, la poesia della natura, la poesia dell’arte, di tutte le arti.

Tu e le Donne.

Mi incantano con la loro bellezza e le loro storie di resistenza. La scienza parla di “tensione di rottura” per riferirsi al massimo sforzo che un materiale può sopportare prima di rompersi. La tensione di rottura delle donne è altissima: la vita le sottopone a prove di compressione, trazione, torsione, taglio, ma loro resistono.

Tu e l’Amicizia.

Gli amici e le amiche sono la mia tana. Il luogo in cui mi sento ascoltata, talvolta capita, mai giudicata. Protetta, all’occorrenza. Ho la fortuna di averne tanti e tante disseminati/e in varie città, paesi e continenti. Mi piace muovermi dagli uni agli altri e dalle une alle altre come saltando di isola in isola, per tornare alla metafora geografica della felicità.

Tu e l’Amore.

Per molti anni ho confuso l’amore col desiderio. E ho praticato l’amore verso l’altro desiderato più che l’amore verso me stessa. Oggi faccio goffi tentativi di tenere distinte le cose, e di equilibrarmi tra tutte. L’amore – quando non è desiderio – è cura, rispetto, piacere di stare insieme. L’amore è parola: quella che dico per farti bene, quella che dici per farmi bene. L’amore è quello per un figlio, per un genitore, per un compagno, ma anche quello per un’amica, per un’anziana vicina che vuole raccontarti della sua gioventù, per uno straniero la cui vita dipende dalla tua frontiera, per una collega che ha bisogno che tu le tenga il figlio per un’ora, per un compagno di scuola che ti chiede di fargli gratis ripetizioni di latino.

Se esistesse una 25° Ora, cosa faresti?

Sono indecisa tra: leggere un ottimo libro; camminare in riva al mare con l’acqua alle caviglie; ballare il flamenco; studiare una lingua che non conosco; fare l’amore.

Lo sbaglio più grande della tua vita. E il momento più felice.

Il momento più felice della mia vita è stato ogni volta che ho fatto lo sbaglio più grande.

 
Manuela Lunati è nata nel 1977 a Porto San Giorgio (FM). Dopo la laurea in Scienze della Comunicazione presso l’Università di Bologna, si è dedicata allo studio della Linguistica e Glottodidattica presso l’Università per Stranieri di Perugia. Attualmente risiede in Brasile, dove lavora come docente di lingua e cultura italiana, ricercatrice presso l’Università di San Paolo e traduttrice. Nel 2012 ha vinto La Giara di bronzo, premio nazionale RAI, col suo primo romanzo Giochi di mano, edito da Rai Eri. Il libro racconta la storia di un amore che ammalia e ammala: dall’incontro romantico nella ex Jugoslavia con un ex soldato croato al matrimonio in Italia, da cui ha inizio una lenta e violenta discesa verso la perdita della propria dignità.


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