di Andrea Braconi
Più che negli occhi, l’emozione a Monsignor Francesco Monti traspare dalla voce. E nonostante dica come a lui questa seconda vita della Chiesa di Sant’Antonio da Padova non faccia effetto (“perché l’avevo prevista così, sapevo che sarebbe stato questo il risultato”), il prossimo 10 giugno (leggi qui) sarà difficile contenere la commozione per un evento storico per la città di Fermo.
Perché lui, Don Checco, come è conosciuto da suoi parrocchiani, negli ultimi 2 anni si è dedicato alla ristrutturazione della chiesa senza risparmiarsi. Anzi, mettendo a disposizione persino quella casa sul lungomare di Porto San Giorgio che la mamma gli aveva lasciato.
Il motivo? “Fermo si ritrova nelle necessità di prendere finalmente atto di questa autentica perla di modernità, per la sua bellezza ma soprattutto per i messaggi che contiene all’interno su quelle meravigliose vetrate, che abbiamo rimesso a posto. E anche se la città ha un immenso patrimonio che risale al suo passato, questa ricchezza della Chiesa di Sant’Antonio non si è mai sfruttata a pieno. Credo che, anche se non si trova in una delle parrocchie storiche e nobili, sia da inserire comunque nei percorsi museali, per i suoi contenuti a dir poco spettacolari”.
Proprio il recupero e la messa in sicurezza delle vetrate, oltre al rifacimento del tetto, sono stati gli interventi che hanno visto impegnati per mesi operai e specialisti.
Don Checco ci accompagna all’interno, non prima di aver dato istruzioni ai suoi parrocchiani sulla pulizia delle panche, che saranno poi ricollocate all’interno.
“Pensa – spiega Don Checco una volta varcato l’ingresso principale – che la lunghezza dei profili metallici ferma vetro raggiunge circa 6 chilometri di lunghezza, equivalente alla distanza tra Fermo e Porto San Giorgio. Poi c’è la superficie dei vetri trattati, considerati i vari strati del vetro camera più il vetro interno, che equivale a quella di un campo di calcio, circa 5.000 metri quadri”.
I ferri vecchi sono stati tutti ripresi e sistemati, centimetro per centimetro, e dove si è reso necessario sono stati cambiati. Complessivamente, l’importo speso supera gli 850.000 euro.
Ricorda lo straordinario lavoro fatto oltre mezzo secolo fa dall’ingegner Lino Fagioli e dall’architetto Renato Cristiano, ma tiene a precisare come quanto realizzato negli ultimi mesi abbia portato profonde novità. Più che sull’illuminazione (“che di notte permetterà di vedere la chiesa, questo autentico spettacolo, da qualsiasi punto”), a Don Checco stanno a cuore i messaggi delle vetrate.
“Dovevamo recuperare i significati. Quella d’ingresso è una vetrata azzurra, il colore della spiritualità di San Francesco d’Assisi. Dietro l’altare c’è il rosso, che incarna la spiritualità di Sant’Antonio a favore degli uomini. La vetrata a destra rispetto all’ingresso è dedicata alla terra e ha un color giallo ocra. C’è la terra dalla quale sorge il regno minerale e poi il regno vegetale, c’è l’albero del bene e del male, il paradiso terrestre, i germi della vita che nascono, appunto, dalla terra. Su quella a sinistra c’è il cielo e gli eventi dopo la fine del mondo, a partire dalla resurrezione di Cristo. C’è anche il mare in tempesta, con la nave e con quelle mani che escono dall’acqua e che invocano la Madonna, invocano cieli nuovi e terra nuova, quindi l’Apocalisse. Poi c’è la città degli uomini disastrata, alla quale abbiamo ricostruito porte e finestre”.
Sono tanti i messaggi nascosti su ogni vetrata, “tutti straordinari”. E tante altre sono le curiosità, come quelle delle vie crucis. “Dovevano avere tutte un fondo di colore con un significato preciso, l’autore ha fatto la sua tesi proprio su questo. Il porpora, ad esempio, è l’onore a Dio che muore. E Dio che muore sul crocifisso ha intorno i colori dell’odio, evidenziati da un giallo particolare”.
Ma la cosa importante, rimarca, è che alla vetrata di ingresso dedicata a San Francesco corrisponde sul lato opposto quella di Sant’Antonio. “San Francesco parla agli uccelli, stessa altezza e stessi scacchi e Sant’Antonio parla ai pesci, con due intenzionalità diverse: il primo per spiritualità e amore di Dio e della natura, l’altro per convertire i riminesi, come si vede dai castelli dietro di lui. Poi c’è San Francesco che parla al lupo e di là Sant’Antonio che utilizza il miracolo della mula che venera il santissimo sacramento per dire agli altri ‘vedete, la mula ci crede e voi no’. C’è, quindi, un collegamento diretto, come ho messo in risalto nel libretto”.
E proprio su questo punto Don Checco ci saluta, pregandoci – mai termine fu più azzeccato – di dire a tutti che “oltre al libretto in vendita farò una mostra fotografica all’interno, con tutte le fasi della lavorazione. È importante, per capire quanto impegno c’è stato e quanto sia necessario l’aiuto di tutti per proteggere questa meraviglia”.
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