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Gli occhi (e il cuore) in Kenya
con i Teatri senza Frontiere (FOTO)

ESPERIENZE - Gli obiettivi del progetto raccontati da Marco Renzi e il diario di Maurizio Stammati con le immagini di Fabrizio Ferracuti

 

foto di Fabrizio Ferracuti

Cari amici, Teatri senza Frontiere è in pieno svolgimento, dal 15 settembre un’equipe formata da teatranti provenienti da diverse formazioni italiane è al lavoro a Nairobi, nei centri creati da Padre Renato Kizito Sesana, missionario comboniano che opera nella capitale del Kenya, dove ha creato strutture di recupero per centinaia di bambini, strappandoli all’abbandono e al degrado. Nairobi è una metropoli immensa, dove ricchezza e povertà estrema passeggiano mano nella mano, dove milioni di persone vivono nelle più grandi baraccopoli africane e dove persone di buona volontà si adoperano per dare affetto, istruzione, futuro.

Come annunciato sulla pagina fb di “Teatri senza Frontiere”, causa dolorosa e improvvisa situazione familiare, ho dovuto rinunciare alla partenza e ad un progetto al quale tengo più di ogni altro. Se è vero però che in qualsiasi situazione, anche quelle più avverse, c’è sempre un risvolto positivo, questo sta nel vedere come negli anni si sia formato un gruppo coeso, forte, con idee chiare e motivazioni profonde e come questo gruppo, nel quale ogni anno si innestano nuove esperienze, sia decisamente in grado di procedere al di là della singola partecipazione. Di questo sono fiero. (Marco Renzi)

IL DIARIO DI MAURIZIO STAMMATI

16 settembre

Quando il pick-up guidato da Benno, alle 4 del mattino, dopo aver attraversato un po’ di città, svolta a destra ed imbocca uno stradone sterrato, pieno di buche e dossi, capisci subito che stai per lasciare le tue certezze di occidentale per entrare nell’Africa nera. E’ come scendere dentro un esofago profondo, sarà il buio della notte, sarà lo shakeraggio dovuto alle buche, sarà che qui la guida è a sinistra ma niente somiglia a ciò che conoscevi. Arriviamo. Dopo qualche scampanellata, un paio di fischi, qualche nome urlato, si apre un cancellone verde e siamo nell’oasi che ci accoglierà. Tutto sa di terra, profuma di foresta, odora di rami…il tempo di aprire la camera, tuffarci nella brandina e cadiamo nelle braccia di Orfeo. Il risveglio è tra il vociare di bambini che giocano, ci metto un po’ a capire dove sono, la brandina si ripiega, forma una specie di guscio, impiego tempo per uscire dal torpore che mi avvolge. L’Africa è fatta apposta per sgretolare i luoghi comuni che si acquisiscono negli anni. Chi l’avrebbe mai detto che dopo una estate passata in Italia a combattere con il caldo torrido e l’arsura, dovevo venire in Africa per avere freddo la notte, stare con la copertina e trovare docce sempre pronte… oddio l’acqua è fredda e prima di metterci una gamba sotto la pelle si ritira come una risacca.

Uscendo dalla camera trovo bambini che giocano alle biglie, proprio a “ciccimbuca” il mio gioco preferito, saluti e sorrisi a non finire. Il centro ha camere per gli ospiti, cucina, sala mensa, un bellissimo salone per le attività, una cappella, molta terra e foresta intorno. Ospita una trentina di ragazzi dai 7 ai 17 anni, vite strappate alla strada e all’abbandono. L’arrivo di Padre Kizito è preannunciato dall’abbaiare dei cani, è una nuvola bianca Padre Kizito, due occhioni azzurri che sembrano bagnarti di tutta la vita che ha vissuto. Parla piano ed ascoltarlo è come salire su una canoa e navigare lungo un fiume di vita vera, di immagini, aneddoti, conquiste e sconfitte, non finiresti mai di ascoltarlo. Ci prende e ci porta con il suo pick-up su un terreno che hanno acquistato…poco a poco comincio a capire davanti a chi mi trovo, un gigante, ma non di quelli fatti di spalle enormi e gambe lunghissime, no, fatto piuttosto di sogni ed idee, di pensieri, di soluzioni e intuizioni. Quando è arrivato ha comprato terra, tanta terra, in posti diversi di Nairobi, più che ha potuto, tutti lo prendevano per matto ma lui ha tirato dritto e con passo deciso ha cominciato a costruire alloggi, ad irrigare campi, a impiantare coltivazioni e serre… poi ha continuato: una scuola, un ostello, un ristorante interamente gestito dai ragazzi che ha salvato e via dicendo. Qui il tempo dura, si ha sempre la sensazione che ne sia trascorso più di quello che in realtà è. Tutto è più denso, le giornate sono lunghissime e piene, anche quando sembra che non sia successo nulla ti accorgi di averne passate di tutti i colori, ma davvero tutti, dal bianco della luce al nero della notte. E’ solo un giorno che siamo arrivati e sembra di esserci da sempre.

17 settembre

E’ domenica, ci aspetta la prima messa e il primo spettacolo, attraversiamo stradoni di fango e buche, baracche e panni stesi, donne con vestiti coloratissimi e acconciature spaziali, la chiesa di Santa Monica è fatta di lamiera ed è circondata da altre chiese di diverse religioni o sette, è domenica ed ognuno prega il suo Dio. Tanta gente esce dalla chiesa nostra e padre Angelo, che la tiene come un fiore, ci accoglie con un bel sorriso….”prendete posto avanti per la prossima funzione”, sembrava più l’invito per la partecipazione ad uno spettacolo che ad una funzione religiosa, infatti, subito dopo, un coro formato da uomini e donne che occupavano un quarto della chiesa inizia a cantare e un corteo fatto di bambini, dai piccoli agli adolescenti, seguiti da adulti con tanto di fascia colorata, comincia a danzare… che gioia, che festa e che allegria, sembrava uno show, ma per la vita!! Si mangia insieme , il riso è la base per tutto e poi carne quando c’è e verdura… tanta!!

Pomeriggio primo spettacolo grande attesa, prendono e rivoltano la chiesa che diventa teatro, si spostano le panche si fa la pista per gli attori, iniziamo i suoni, le parole, i gesti, i numeri, i sorrisi, le risate e gli applausi. Cento, mille occhi a scavare nei nostri volti, nelle nostre azioni, nei nostri suoni, sono semplici i numeri ma sufficienti a suscitare stupore, calore, amore . La giornata sembrerebbe finita, invece si va al centro Shalom di Padre Kizito e lì lo stupore ci invade, una sorta di college con tanto di ostello, scuola, bar, ristorante, parco, mensa per i ragazzi, tutto nel centro di Nairobi, che per arrivarci devi fare una fila in macchina che nemmeno la Cristoforo Colombo a Roma alle 8 del mattino…e poi un dedalo di strade e traverse sterrate che non mancano mai! A sera si torna distrutti sembra mezzanotte ma sono solo le 21.00, ci accoglie la pioggia forte, tanta che fa saltare la corrente e tutti al buio con le candele, mentre per strada c’è ancora tantissima gente che cammina tra le botteghe di questo immenso e surreale centro commerciale fatto di lamiere, braceri accesi e moto. La notte qui è più notte e l’anima prova a nascondersi per non aver paura e un poco trema, non perchè si sente minacciata, perchè non sa più come si fa a non aver paura del buio, delle ombre proiettare dalle candele che tremano, delle mani dei bambini nei piatti per mangiare riso e fagioli…e non si spreca nemmeno un chicco!

18 settembre

Il giorno scorre lento e denso e ad aspettarci ci sono un mucchio di sorprese come sempre questa terra ti riserva. Oggi spettacolo in una scuola dove arriviamo dopo una breve ma intensa shakerata, sbircio dal pick-up un cratere al ciglio della strada e si apre un mondo impossibile; una cava di pietra dove decine di uomini tagliano e sagomano la dura materia trasformandola in mattoni, il ricordo va a Salgado e al suo meraviglioso docufilm “Il sale della terra”… mi riprometto nei prossimi giorni di tornarci. Ecco la scuola, ecco le sorprese continuare… ad attenderci è ancora Padre Kizito, con il suo sorriso che è carezza del cuore, si apre un lungo racconto che attraversa tutta la sua esperienza in Africa, una lezione di vita da non dimenticare, poi tutti allo spettacolo, dove ci aspetta la sorpresa più grande: dentro un campo di calcio fatto di terra rossa e colline come spalti, centinaia di bambini occupano tutto lo spazio disponibile, alcuni addirittura sopra le cime degli alberi, un colpo d’occhio indimenticabile. Applausi e risate in una giostra di emozioni che sembra non voler finire mai, non senti il caldo non senti la fatica, il loro stupore è alito che soffia e sostiene l’aquilone delle nostre energie.

19 settembre

Scendere nelle viscere della terra e restarne trafitto. Appuntamento nel terzo dei centri di Padre Kizito, in realtà il primo per anno di fondazione, siamo nella seconda più grande baraccopoli africana, Kibera, 2 milioni di persone sistemati in baracche di lamiera e terra rossa, una visione da far paralizzare chiunque. Il pick-up di padre Kizito va avanti e noi sempre più ammutoliti, la strada è terra e fango e buche e dossi e acquitrino e putrido fetore e profumo di terra e lercia di sterco, più si entra dentro e più ci si sente scivolare in un formicaio impazzito…uomini, donne per lo più giovani e migliaia di bambini dappertutto, baracche che si stringono tra loro come i nostri arroccati paesi medievali, solo che qui non sono di pietra ma di lamiera arrugginita. Centinaia di infiniti vicoletti, strettissimi, si diramano in tutte le direzioni, come raggi sparati da un sole sena luce, impossibile quasi respirare per timore di essere osservati e di apparire come ladri di un’intimità dove il pudore impedisce di guardare per non oltraggiare chi è costretto a vivere così. Arriviamo al centro di Padre Kizito e subito la felicità dei bambini ci travolge di baci, carezze e risate, parte il nostro inno “o mamma mamma mamma”, tutti subito in girotondo a ricordarci che sempre si può essere felici quando c’è un bambino a prenderti per mano!! Proprio per mano ci prendono, per farci visitare quella città di ferro e fango, carne umana e piscio di vacca dalla quale loro sono stati salvati. Ci scortano circondandoci, facendo capire a tutti che noi siamo con loro, per loro e come loro, che nessuno pertanto ci tocchi, mai scorta fu più forte e impenetrabile di quella. Ci portano per mano nell’inferno dei viventi, quell’inferno che pensavamo dividesse gli uomini solamente in ricchi e poveri, qui possiamo vedere una terza categoria, quelli che non hanno nemmeno la povertà. I bambini ci sorridono e ci proteggono, loro hanno patito abbandoni, botte, privazioni, come cani randagi lasciati a sopravvivere tra i cumuli di spazzatura delle nostre belle società, sono eroi questi bambini e non lo sanno, ridono per i mie capelli e per il suono dell’organetto, per il naso rosso di Andrea, per le clave di Giovanni, il Ciuccio di Paolo e Annachiara, per l’anatra di Simona.

Lo spettacolo che abbiamo fatto nella “piazzetta” ricavata tra le baracche appena fuori il centro di Padre Kizito è di quelli che si ricordano per tutta la vita, cominciamo con una parata insieme ai ragazzi, per avvisare e condurre tutti al punto di spettacolo. E’ un continuo arrivare di bambini nelle varie e coloratissime divise delle scuole del quartiere, passano attraverso nugoli di motociclisti (che sono un capitolo a parte perchè tutto si trasporta con le moto, dai divani ai ferri per costruire palazzi!!) in uno slalom pazzesco. E’ un godimento dell’anima, quella pulita che sta dentro ciascuno di noi, sorridono, fanno smorfie, danzano sulle note strampalate di un organetto che giusto qui in Kenya non avevano mai ascoltato, devo apparire ai loro occhi come un grande virtuoso dello strumento, per riparare all’inganno dovrò far venire Ambrogio Sparagna e la sua orchestra, comunque sia per questi occhi color della vita e questi sorrisi color del mondo, il migliore sono io e tanto basta per godersela !!!! Torniamo alla base, al primo incontro del laboratorio, la paura di non riuscire arriva sempre prima di iniziare, poi fortunatamente si dissolve al primo sguardo incuriosito, il gruppo c’è è si lavorerà bene, loro sono acrobati di nascita ed hanno una fisicità straripante, ma questa è un’altra storia di questa Africa che ti entra come un colpo di fucile, ti sconquassa i pensieri e pure le parole, lasciandoti un pò intontito a fare i conti con te stesso, a camminare tra le strade di terra e fango con il sorriso ebete di chi pensava di aver capito tutto ed invece non ha capito proprio niente!!


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