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Quasi il 50% degli immigrati è donna, Marziali: “Lavoro prima forma di integrazione”

FERMO - La presidente della Commissione regionale Pari Opportunità parla anche di violenza di genere e del ruolo cruciale del mondo dell'informazione

di Andrea Braconi

Sfiora il 50% la percentuale di donne che fanno parte dei flussi migratori che toccano direttamente l’Italia. Un riferimento che Meri Marziali, presidente della Commissione regionale Pari Opportunità, utilizza per affrontare un aspetto poco considerato dai media nell’affrontare un tema complesso come quello, appunto, dell’immigrazione verso il nostro Paese.

“Molto spesso anche in questo le donne sono poco visibili – rimarca la Marziali, intervenuta ad un corso di formazione per giornalisti a Capodarco -, così come quando sono vittime di violenza o intercettate da un percorso di tratta e di prostituzione. E raramente ho letto qualcosa relativo ad un processo di riscatto personale. Invece servirebbe raccontare anche questo, con molta più determinazione”.

La prima forma di discriminazione, afferma, è il lavoro, un fondamentale strumento di integrazione. “È un processo che si incastra con quello altrettanto difficile che riguarda le donne italiane e si va sempre più una sorta di guerra non tanto tra poveri ma tra le varie forme di disagio. La maggior parte di queste donne straniere vengono occupate nei cosiddetti lavori domestici, dove non sempre c’è un grande attenzione alla regolarità dei contratti e dove già come italiani ci contraddistingue la presenza di un’ampia fetta di lavoro sommerso. Il 46% delle donne che arrivano in Italia lavora, se possiamo utilizzare questo termine, e di queste il 20-22% lo fanno come titolari di imprese”.

A tutto questo si aggiunge l’elemento della violenza di genere. “I dati ci dicono che c’è un grande sommerso di non denuncia da parte delle donne italiane, immaginate quello che possa essere per le immigrate con difficoltà di integrazione e di lingua, di conoscenza delle stesse istituzioni cui far riferimento per uscire da un percorso di violenza”.

Ed è sempre più importante, conclude, il ruolo che gioca l’informazione. “Penso al caso dello stupro di Rimini e a come è stato manipolato. Invece è importante che il racconto possa essere quanto più lontano dal ricerca di scoop e da una morbosità che con il fatto poco o nulla ha a che fare. Occorre andare all’origine di quello che in realtà c’è dietro lo stesso fatto. Ogni processo di inserimento passa anche attraverso un cambiamento culturale e credo che in questo processo la stampa abbia un ruolo importante, accanto alle istituzioni e a tutti gli attori coinvolti”.


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