di Sandro Renzi
Che il commercio a Porto San Giorgio rappresenti, potremmo dire ormai quasi storicamente, uno dei comparti produttivi più pesanti –ma non è il solo- su cui si regge l’economia del paese è un dato di fatto. Che il commercio però debba monopolizzare, come sta avvenendo da qualche anno a questa parte, l’attenzione di una comunità e dell’amministrazione che la guida, forse è un po’ troppo. Si può lavorare, ed è giusto oltre che necessario farlo, per sostenere e rilanciare il settore, possibilmente di concerto con gli operatori e le categorie, ma non si può pretendere che l’azione di governo sia finalizzata primariamente se non esclusivamente, come molti invece vorrebbero, a “puntellarlo” ad ogni occasione. (E non si faccia leva sull’equivalenza ormai tramontata del “più vetrine accese meno delinquenza). Se così fosse che senso avrebbe continuare a parlare di “rischio di impresa” per negozi e pubblici esercizi? Lo stesso rischio che purtroppo pesa come una spada di Damocle sul futuro di artigiani e imprenditori. Si obietta che al pari delle aziende anche tante attività a Porto San Giorgio hanno abbassato definitivamente le saracinesche nell’ultimo periodo. Ma la colpa è veramente del comune e dei mancati eventi? Se nel distretto calzaturiero le imprese sono state decimate è forse responsabilità diretta delle amministrazioni che hanno governato le città ed i territori in cui gli stabilimenti operavano? O forse anche in questo caso la crisi ha detto la sua?
Estremizzando il paragone tra realtà e contesti così diversi emerge alla fine anche qualche punto di contattato. Primo fra tutti quello stato di forte insicurezza che ha portato a contrarre i consumi con inevitabili conseguenze sulle realtà produttive (chiusure, fallimenti etc) siano esse fabbriche o piccole botteghe, poi la mancata capacità degli operatori di sapersi innovare anche se in un momento di crisi, ma pure le difficoltà di accesso al credito.
I comuni, nel loro piccolo, possono dotarsi di strumenti per tentare di dare una mano al commercio. Più di quanto possono fare per le imprese di altri settori. Misure ed azioni, più o meno onerose per le casse pubbliche, non mancano in letteratura. Si pensi, ad esempio, all’istituzione di un fondo di “garanzia di locazione” per il pagamento dei canoni dovuti per 3 o 4 mensilità ante sfratto, o magari alla possibilità di armonizzare gli affitti per favorire lo sviluppo di alcune aree, a partire dal centro che si sta spopolando di negozi a favore della zona sud, fino all’individuazione di premi (anche sotto forma di riduzione delle imposte dovute) a favore delle attività che innovano e contribuiscono ad abbellire e rendere più accogliente la città. Di ricette da provare ce ne sono, di sperimentazioni da attivare pure. Compresa l’attuazione di un programma condiviso di eventi culturali e artistici (perché anche di questo si sta parlando), che copra tutto l’anno e tutte le zone e, in prospettiva, l’estensione dell’area pedonale perché è ormai comprovato che più spazio viene riservato al passeggio e più ne beneficiano i negozi. A patto, insomma, che ciascuno faccia la sua parte. I commercianti i commercianti e l’amministrazione l’amministrazione. E che si guardi sempre alla comunità dei cittadini nel suo complesso anche quando vengono fatte scelte apparentemente di “nicchia” perché destinate a supportare un comparto piuttosto che un altro. A patto insomma che il filo conduttore sia la parola “sinergia”, e non solo tra ente pubblico e categorie, ma anche all’interno delle stesse associazioni, perché i problemi sono esattamente gli stessi, che si faccia parte dell’associazione x o di quella y.
Mentre negli ultimi tempi l’impressione è che si sia considerata l’azione amministrativa come la panacea di tutti i mali che attanagliano la rete dei piccoli esercizi. Che al comune praticamente sia stato delegato quel “rischio d’impresa” di cui sopra. Non ci stupiamo allora se prima o poi dietro al bancone di un negozio o di un bar troveremo ad accoglierci il sindaco o un suo assessore.
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La colpa e’ di tutta la gente che passa il weekend dentro ai centri commerciali