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Macerata tra orrore e terrore:
Oseghale sentito in carcere
Traini a due bariste «Vendico Pamela»

DUE STORIE DA INCUBO - Il nigeriano accusato di aver ucciso la 18enne romana ha chiesto di essere sentito in carcere ma non ha confessato. Il 29enne che ieri ha ferito 6 persone è uscito di casa con 2 caricatori e 50 munizioni. Una trentina i colpi esplosi. VIDEO

L’Alfa 147 usata per il tentativo di strage a Macerata (Foto Del Brutto)

 

di Gianluca Ginella

Uno è accusato di aver ucciso una ragazza di 18 anni e di averla poi tagliata a pezzi e sistemata in due trolley che poi ha gettato nelle campagne di Casette Verdini di Pollenza intorno alle 22,30 di mercoledì. L’altro è accusato di strage perché per vendicare la morte della ragazza ha ferito 6 persone di colore. 

Il ferito in corso Cairoli soccorso da una passante

Entrambi sono in carcere a Montacuto di Ancona, nella medesima ala, in isolamento. Lì il primo, Innocent Oseghale, accusato di aver ucciso Pamela Mastropietro e di averne poi fatto a pezzi e smembrato il cadavere, è stato interrogato dal procuratore di Macerata Giovanni Giorgio. A chiedere l’interrogatorio è stato lo stesso Innocent che però non ha confessato né, da quanto emerge, avrebbe fornito indicazioni che possano essere utili alle indagini. Sul delitto di Pamela emerge che la ragazza dopo essersi allontanata dalla comunità è stata accompagnata da un uomo fino alla stazione di Piediripa di Macerata dove è arrivata alle 17 di lunedì.

Innocent Oseghale

Da lì poi la ragazza ha raggiunto Macerata dove la mattina di martedì si trovava (era alla stazione). Si è poi spostata ai Giardini Diaz di Macerata dove ha incontrato Oseghale, 29enne nigeriano, disoccupato. I carabinieri del Reparto operativo di Macerata comunque in queste ore stanno cercando di ricostruire se Oseghale, nel caso in cui venisse confermata l’accusa a suo carico, sia stato aiutato da qualcuno a fare a pezzi il corpo della ragazza. Le tracce di sangue trovate in casa e i segni che testimoniavano che aveva pulito portano gli inquirenti a ritenere che la ragazza sia stata fatta a pezzi all’interno dell’abitazione di Oseghale, in via Spalato 124. Proprio il dettaglio dello smembramento del corpo della ragazza avrebbe spinto ieri mattina Luca Traini, 29 anni anche lui, maceratese, ad agire.

Luca Traini

Dettagli che l’uomo aveva sentito alla radio mentre in auto si dirigeva in palestra e che lo hanno spinto a tornare indietro, alla casa in via Brodolini, a Tolentino, dove vive con la madre e con la nonna, e a prendere la pistola Glock 4 che tiene in cassaforte, 2 caricatori e 50 munizioni e partire per Macerata con l’intenzione di sparare a persone di colore.

Lungo la superstrada l’uomo si è fermato ad un bar e lì ha preso due caffè. Alle bariste presenti avrebbe detto che andava a vendicare l’uccisione di Pamela. Dettagli che l’uomo ha raccontato ieri ai carabinieri quando è stato sentito. Traini è apparso deciso, coerente nel dare sempre la stessa versione dei fatti. Il 29enne, incensurato, ex candidato della Lega Nord a Corridonia (zero i voti che aveva preso alle elezioni), che in passato aveva fatto il buttafuori, ora lavorava come operaio in una azienda agricola a Villa Potenza.

Il Mein Kampf trovato a casa di Traini

Sabato mattina Traini ha iniziato a sparare partendo da Sforzacosta per poi arrivare a Macerata dove ha ferito sei persone, cinque uomini e una donna (4 persone della Nigeria, uno del Mali e uno del Gambia). Nessuno di loro è in pericolo di vita. Una 30ina sono i colpi che Traini ha esploso nel suo folle raid al volante di una Alfa 147. Poi la resa al Monumento dei caduti: la pistola lasciata sull’auto, la bandiera tricolore legata al collo come fosse un mantello, il saluto romano al momento dell’arresto. L’uomo è assistito dall’avvocato Giancarlo Giulianelli che oggi ha detto che ha intenzione di chiedere una perizia psichiatrica ritenendo non fosse in condizione di intendere e volere al momento del fatto.

Al momento non è stata fissata l’udienza di convalida dell’arresto. Traini deve rispondere di strage aggravata dalla finalità della discriminazione razziale, di porto abusivo di armi (aveva solo il permesso per il tiro sportivo), di danneggiamento e spari in luogo pubblico. 

 

La pistola sequestrata

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