Dopo il voto, Lega e 5 Stelle attesi al varco
Intanto il Fermano è sempre
più lontano da Roma

A chi potrà affidarsi il distretto del cappello, oppure quello della calzatura, per portare avanti le legittime istanze di settori produttivi portanti dell'economia regionale?

di Sandro Renzi 

E se l’exploit di Lega e 5 Stelle fosse destinato a sciogliersi come neve al sole? Come tutti i voti di protesta, anche quelli intercettati da Di Maio e Salvini sono destinati, prima o poi, a tornare in quegli approdi più rassicuranti che offrono le tradizionali formazioni partitiche. Quelle più storiche che hanno magari hanno cambiato negli anni nome  (pensiamo a Forza Italia o al Pd) ma non il volto. E che gli elettori possono aver tradito una volta nel segreto delle urne, magari due, ma poi “a casa” tornano. Non avverrà certo domani, né dopodomani, ma il rischio che questa apparente “rivoluzione” elettorale finisca in un  fuoco di paglia è abbastanza concreto. Tanto più se a fronte dell’importante risultato ottenuto nelle urne non corrisponderà l’impegno e la responsabilità di prendere in mano la guida del Paese. Allora sarà facile finire nel dimenticatoio e vedere dissolti i voti del 4 marzo. Questo vale tanto per la Lega quanto per i pentastellati  che dopo l’occasione persa nel 2013 hanno a disposizione solo questa chance per dimostrare di avere competenze e capacità di governo. Indipendentemente da chi sarà la loro stampella. A livello locale, infatti, non hanno ancora dato prova di aver fatto chissà quali cose. Vale sia per le grandi metropoli quanto per i piccoli comuni a guida 5 Stelle. Nelle Marche si voterà tra due anni per le regionali ma le macchine partitiche sono già al lavoro. E’ assai probabile che si andrà verso un Ceriscioli bis. Lega e 5 Stelle hanno sottratto voti al Pd, è vero, Forza Italia è vicina al baratro, eppure l’impressione è che il voto di pancia qui non ci sarà, come non c’è stato negli anni passati in tutti quei comuni finiti in mano al centrodestra o al centrosinistra o alle liste civiche che all’una o all’altra coalizione comunque si ispirano. Eppure nel 2013 i pentastellati erano già una forza politica di respiro nazionale ma non anche locale . Il l radicamento sul territorio incontra ancora oggi ostacoli. A bocce ferme, voltando lo sguardo da Roma al Fermano, è altrettanto evidente che la quinta provincia, complice pure la ridefinizione dei collegi elettorali, abbia perso molto della sua rappresentatività. Ad eccezione di Francesco Verducci (Pd), relegato probabilmente ai banchi dell’opposizione in Senato (dipenderà da quello che accadrà tra una quindicina di giorni), il Fermano a questo punto su chi potrà contare? A chi potrà affidarsi il distretto del cappello, oppure quello della calzatura, per portare avanti le legittime istanze di settori produttivi portanti dell’economia regionale? A quei candidati eletti che nel Fermano si sono affacciati solo durante la campagna elettorale per parlare di reddito di cittadinanza, sicurezza sulle strade, uscita dall’euro? Anche questa è una conseguenza del voto di pancia a cui spesso non si dà peso. Se il numero uno di Confindustria Boccia si dice non intimorito dai 5 Stelle, gli industriali locali, magari non tutti, qualche remora in più ce l’hanno. Perché alle prese con l’economia reale e con i rischi di nuove guerre commerciali che vanno affrontate non restando chiusi in Parlamento né tanto meno prendendo le distanze dall’Europa. Anzi è con l’Ue che bisognerà fare squadra. E subito.

 

 


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