“La prima volta l’Italia l’ho vista al rovescio”:
Alì Ehsani incontra i migranti del Seminario

FERMO - Lo scrittore afghano, che nel 2016 ha pubblicato per la Feltrinelli il suo primo romanzo "Stanotte guardiamo le stelle, ho raccontato ad alcuni profughi e agli studenti di Petritoli e Porto San Giorgio il suo viaggio durato 5 anni

di Andrea Braconi

La prima volta, dal porto di Ancona, l’Italia l’ha vista al rovescio. Perché Alì Ehsani, originario dell’Afghanistan, nel nostro Paese è arrivato a 13 anni nascosto sotto ad un tir. Uno sguardo “capovolto” che porta ancora dentro. Dalle Marche viene rimandato indietro, a Patrasso. Tanti i tentativi di raggiungere quella terra promessa dopo 5 anni di fuga. E poi un giorno ancora aggrappato sotto un camion, ancora dentro una nave, prima di raggiungere Venezia. Il mezzo che, una volta passati i controlli, prosegue la sua corsa. Ottanta chilometri orari, le mani che iniziano a cedere. Fino ad un semaforo e a quel flebile grido che viene percepito da una signora. L’autista che accosta e la corsa in ospedale in ambulanza, dopo 24 ore senza mangiare e bere.

Era il 2003 e in questi giorni, a pochi mesi dall’uscita del suo secondo libro (prevista per la fine dell’anno), Alì ha visitato il nostro territorio per raccontare e raccontarsi, invitato dal Tavolo della Legalità provinciale, coordinato da Alessandra Mancini. Lo ha fatto a Petritoli e Porto San Giorgio, davanti agli studenti. E lo ha fatto anche a Fermo, nell’abitazione degli insegnanti Ombretta Morganti e Piero Mennò. 

Lo troviamo seduto accanto ad un divano da dove, silenziosamente, lo ascoltano 4 degli oltre 140 giovani migranti ospiti del Seminario, qui accompagnati dalla psicologa Barbara Pezzotta. Chi proveniente dalla Guinea, chi dal Senegal, chi dal Pakistan e chi dal Ghana, ma tutti con un’esigenza: capire questo Paese, per riuscire ad integrarsi.

Dovete conoscere la cultura italiana” spiega loro Alì, salito alla ribalta nazionale per aver pubblicato nel 2016 per la Feltrinelli “Stanotte guardiamo le stelle”, un dialogo tra lui ed il suo fratello maggiore Mohammed, morto durante la loro Odissea lunga 5 anni tra Pakistan, Iran, Turchia e Grecia. “Quando ero piccolo andavamo a dormire sul terrazzo di casa a Kabul e mio padre raccontava storie di Kabul. Ho perso i genitori quando avevo 8 anni e quindi non sono più riuscito a guardare quelle stelle”.

Appartenenti alla minoranza cattolica, Alì e Mohammed hanno attraversato diverse frontiere, in bus (“Anche nascosto dentro una valigia”) ma più spesso camminando di notte, per giorni. E sempre nelle mani di contrabbandieri pronti a spillare loro i pochi soldi disponibili. A Teheran lo stop più lungo per raccimolare, lavorando, quanto necessario per proseguire il viaggio.

L’arrivo in Turchia e il tentativo del fratello di raggiungere la Grecia su un gommone acquistato insieme ad altri. Una scelta rivelatasi fatale. “Io sono rimasto da solo, avevo 11 anni, la famiglia turca dove lavorava mio fratello mi conosceva e mi ha aiutato, portandomi a casa loro”. Con altri 800 dollari, Alì è riuscito a raggiungere la Grecia nascosto in un furgone. Poi una barca a motore con a bordo altri 14 profughi, imbarcazione che davanti all’isola di Lesbo si è rotta andando alla deriva. Per ore, lui che non sa nuotare, è rimasto sospeso sopra una tanica di benzina vuota prima di essere soccorso. “Mi sono addormentato e ho ricordato quando mio padre mi parlava di Gesù. Così ho pensato: se Gesù esiste veramente mi salverà. L’ho sognato che aveva il volto ricoperto di sangue, che mi abbracciava mentre apriva un ombrello giallo dicendomi: ti salverò io. Sì, è stato un miracolo”.

Tre mesi in una sorta di carcere, prima di raggiungere Patrasso. Ancora una volta la necessità di soldi per pagare i contrabbandieri. E l’inizio di una lunga serie di tentativi per conquistare l’ambita Italia.

“Questa lunga esperienza mi ha insegnato che non bisogna mollare mai e che in un Paese bisogna sapere quello che non si deve fare. Io ho girato tutta l’Europa per andare a conoscere la cultura degli altri, sono stato anche ad Auschwitz, ho studiato figure come Mussolini e Lenin perché sono convinto che dobbiamo imparare dagli errori che hanno fatto gli altri. La libertà ha un limite che bisogna rispettare, io non devo mai disturbare la libertà degli altri. Certe regole, quindi, bisogna conoscerle, come non bisogna confondere la libertà con la democrazia”.

Dopo essersi laureato in giurisprudenza, oggi Alì insegna in un istituto professionale. “Cerco di capire i problemi dei miei alunni, parlo con loro come ha fatto con me il mio insegnante”. E mentre attende il 18 aprile per il riconoscimento della cittadinanza italiana e si prepara a vivere anche un’esperienza come ricercatore universitario (con un progetto molto suggestivo sulla storia di Piazza Vittorio Emanuele a Roma, dove vive da anni), Alì non smette di scrivere sul suo diario, per poi riportare sul computer riflessioni sulla sua vita e su quella dei giovani che continua a conoscere. Perché scrivere, conclude, è “un messaggio di speranza, per tutti”.

 


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