Mattia De Minicis di fianco all’immagine di suo padre Stefano De Minicis(foto di René Santiloni)
di Paolo Paoletti
Stefano De Minicis durante un momento della sua ressegna
“Quattordici anni di passione pura per la musica vera, quella che parte dal basso, quella delle emozioni. Quattordici anni di grandi musicisti chiamati da papà senza logiche economiche, di contratti e procuratori ma solo per la volontà di portare sul palco di piazzale Azzolino a Fermo, quel senso di libertà che solo la musica gratuita può dare, sperimentare, emozionare e divertire. Vivendola da lontano ma facendo musica amatorialmente e non solo ho sempre stimato questa creatura musicale che curava come fosse una figlia. E’ lui ad educarmi, sin da piccola, alla musica, iniziarmi a questo mondo, imparando a suonare il clarinetto. Musica e linguaggi. Oggi tutto questo non c’è più e mi ritrovo ad essere stato costretto ad allontanarmi dallo stesso festival creato da mio padre perché non c’era spazio per le sue e le mie idee. Mi sono ritrovato maggiordomo nella mia stessa casa”. Mattia De Minicis, figlio dello storico creatore del ‘Festival Jazz e Non Solo Jazz…note sotto le stelle’ Stefano De Minicis, scomparso un anno fa, è amareggiato.
Il suo non vuole essere affatto uno sfogo, anzi, la situazione che ha di fronte è ben chiara: “A chi mi chiede informazioni, spiego e racconto quanto successo. Mi sono trovato lentamente ad essere costretto ad allontanarmi dall’organizzazione del festival in quanto le mie idee non trovavano mai spazio, quando invece volevo solo dare un contributo, magari occupandomi della scelta degli artisti che si sarebbero esibiti in una sola serata delle quattro in cartellone, scegliendo artisti in linea con quella che era la volontà di mio padre, penso ad esempio al grande Giorgio Conte, fratello di Paolo Conte“.
Da qui la rabbia di Mattia che si è sentito privato di un’eredità morale e affettiva di famiglia, tanto da arrivare alla decisione di chiedere agli attuali organizzatori di togliere ogni riferimento a suo padre dalla nuova edizione della rassegna: “Perché quello che si è venuto a creare – spiega – non ha niente a che fare con Stefano De Minicis e la sua ‘Jazz e non Solo Jazz…note sotto le stelle’. Tutto è nato 14 anni fa quando alcuni dipendenti del Comune di Fermo, con il sindaco dell’epoca, decisero di non fare una copia di Umbria Jazz ma affidarsi a mio padre che, da appassionato di musica scevra dal business, ha iniziato a contattare amici del calibro di Giorgio Conte, Ares Tavolazzi, il clarinettista Bepi D’Amato e molti altri, invitandoli a suonare a Fermo, sperimentando anche contaminazioni uniche, per il solo piacere di fare grande musica. Dopo la morte di mio padre, lo scorso anno, i componenti dell’associazione che si occupa del festival e di cui faccio parte anche io, mi chiesero di metterci la faccia. Sono un musicista, collaboro anche con premi Tenco, suono nel mondo del cantautorato e soprattutto sposo lo stesso pensiero di papà. Così mi prestai a presentare il festival 2017, la prima edizione dopo la morte di mio padre. Non avendo mai fatto il presentatore mi sono buttato, solo perché credevo che in questo modo avrei portato avanti questo movimento musicale dal basso, così come voleva mio padre. Rimangono gli amici di sempre che avevano sposato amichevolmente e per la passione condivisa la causa di mio padre che poi aveva aggregato e fatto conoscere gli attuali componenti del direttivo dove feci ingresso l’anno scorso”.
(foto di René Santiloni)
I problemi sono nati in vista dell’organizzazione del Festival 2018: “Già dallo scorso febbraio iniziai a dire che era arrivato il momento di iniziare a scandagliare il mondo della musica jazz e selezionare i musicisti per la nuova edizione. Purtroppo non mi hanno dato voce in materia e tutto è stato deciso. Il mio ruolo? Avrei dovuto solo leggere la loro scaletta sul palco, praticamente il valletto. Non c’era spazio per le mie idee e per quelle di papà. Mi sono ritrovato di fatto fuori da una cosa creata da mio padre e me ne sono andato. Mi hanno nella condizione di non poter dare il mio contributo senza capire che non mi volevo sostituire a loro ma semplicemente collaborare. Vivo a Recanti, sono alla guida di un progetto socio musicale itinerante che si chiama La BuenaVentura. Avrei solo voluto continuare a contribuire a quello che mio padre ha creato. Mi meraviglio anche del comportamento dell’amministrazione comunale di Fermo e dell’assessore competente di fronte a tutto ciò”.
Mattia ci racconta: “Papà era un pensatore libero che accoglieva. Io faccio musica per il piacere di farla e non per arrivare o mettermi in mostra. Così muore il pensiero di mio padre e tutta la sua passione che convogliava in questo Festival. La manifestazione di papà non può diventare una vetrina e una tacca nel curriculum di qualcuno. Mio padre mi disse ‘prendila tu’ ma io non ho interesse a farmi bello, amo solo la musica, potrei suonare anche in mezzo ad un prato con un amico musicista o cantautore. Così ho chiesto agli organizzatori attuali di togliere il nome di mio padre ed ogni riferimento a lui da manifesti e social. In giro per i locali mi capita che le persone che mi riconoscano come il figlio di Stefano, soprattutto dagli occhi, e ricevo sempre un affetto enorme dal pubblico del festival, a testimonianza del grande valore di quello che aveva creato papà. Bisogna essere e non apparire, per questo mi sono svincolato, non devo arrivare da nessuna parte”.
Mattia che conclude citando le parole e gli insegnamenti di suo padre Stefano: “Come diceva papà ‘per noi il tempo scorre altrove’. Nel senso che le situazioni musicali erano fatte per fermare il tempo, stare in quel momento con altre persone e con la musica per non pensare ai problemi. Nella mia rassegna Buena Ventura ho aggiunto il sottotitolo ‘portare il tempo che scorre altrove’, so che si tratta di una tensione utopistica irrealizzabile, per noi qui il tempo scorre, lo vediamo dalle rughe, ma abbiamo la capacità di fermarlo con la musica”.
(foto di René Santiloni)
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