È stato definito dalla critica «uno dei rari capolavori dell’attuale cinema italiano». Lo hanno premiato per la storia e per l’intensità del personaggio. Dogman, l’uomo dei cani (del cane) è un film che interroga dopo aver colpito duro allo stomaco. Provoca reazioni. Non si esce dalla sala come s’è entrati. Rende più svegli, alla fine. Interroga la gente comune, gli intellettuali, i comunicatori, i giornalisti.
Matteo Garrone «non è un esploratore alla Verne, ma uno dei pochi registi (un intellettuale libero) nostrano, capace di andare e toccare con mano le ferite vive e laceranti del povero Marcello». Marcello è il protagonista, l’uomo dei cani, con il suo sguardo perso, con il suo sguardo vero. È un ultimo, uno del popolo degli abissi. Di quelle persone (persone!!!) di cui poco o nulla si parla se non per un racconto di brutti eventi.
Garrone no, indaga quell’umile che vive umilmente, e che ama la sua Sofia, figlia che vorrebbe distante dall’immondizia morale e reale di un luogo circoscritto, e che cerca di tirare avanti in un mondo di periferia metropolitana impastato di violenza e della legge del più forte.
Dogman sarà proposto sabato 14 luglio alle ore 21,30 all’Arena delle Magnolie di Porto San Giorgio, introdotto da Giulio Troli, collaboratore alla sceneggiatura.
La vicenda è questa. Ispirato liberamente a un fatto di cronaca nera accaduto trent’anni fa: il Canaro della Magliana, il film racconta la storia cupa e violenta di Marcello Fonte. Persona mite e tranquilla, Marcello gestisce un salone di toelettatura per cani. Durante le sue giornate deve destreggiarsi tra il lavoro, la figlia adorata, Sofia, e l’ambiguo rapporto di sudditanza con Simoncino/Edoardo Pesce, un ex pugile da poco uscito di prigione e temuto da tutto il quartiere per i suoi atteggiamenti al limite della follia. Continuamente vittima di bullismo e soprusi, ormai stremato da una vita di umiliazioni, Marcello decide di seguire le orme di Simoncino e di diventare il suo aiutante in una serie di rapine che sconvolgono la cittadina in cui vivono. Ormai in balia del carisma di Simoncino e legato dalla lealtà nei suoi confronti in quanto amico di vecchia data, Marcello finisce col tradire non solo la sua stessa moralità, ma anche i suoi compaesani. Il peso delle proprie azioni diventa sempre più insostenibile, tanto che arriverà ad autoaccusarsi, finendo per un anno in carcere, lontano dalla figlia di cui doveva prendersi cura. Dopo aver perso tutto e tutti, arriva finalmente per Marcello la presa di coscienza, insieme a un’irrefrenabile sete di vendetta. Una storia che qualcuno ha voluto paragonare a quelle di Pasolini: lo sguardo commosso ma veritiero sul popolo minuscolo, sugli ultimi.
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