Un brutale thriller di fantascienza, scritto dagli specialisti dell’horror Scott Beck e Bryan Woods e diretto da John Krasinski. Il film è ambientato in un futuro post apocalittico e si apre su una piccola cittadina nella parte settentrionale dello stato di New York nel giorno 89 di una misteriosa invasione di esseri voraci ultraterreni. Incapaci di vedere ma dotati di udito soprannaturale, questi sibilanti alieni si nascondono per gran parte della giornata, precipitandosi rapidamente sulle loro vittime solo se attratti da un forte rumore.
Tenendo conto di ciò, Lee ed Evelyn – interpretati da Krasinski e Emily Blunt, che nella vita reale sono sposati – conducono una vita prevalentemente silente, camminando in punta di piedi intorno alla loro fattoria vittoriana, creando scie di sabbia su cui passare a piedi nudi da e per la città, giocando al Monopoli con segnalini rivestiti di feltro. Come personificazione del nutrimento e della forza materna, il personaggio di Blunt fa del suo meglio per mantenere una casa sicura e accogliente, pur rimanendo in sintonia con le minacce che si nascondono solo a un bisbiglio lontano. Il loro figlio, Marcus (Noah Jupe), e la figlia, Regan (Millicent Simmonds), sono ben addestrati nell’utilizzo del linguaggio dei segni in quanto Regan è sorda, ed è proprio grazie a questa disabilità che tutta la famiglia ha già dovuto imparare a comunicare in tal maniera. Eppure, mentre la storia continua, c’è una nuova sfida. Evelyn è incinta, e ora gli adulti devono chiedersi come farà ad avere il bambino a nascere senza l’anestesia moderna e, soprattutto, senza emettere suoni. Un mondo di orrore è in arrivo.
Come i migliori film, “A Quiet Place” insegna al pubblico come osservarlo entro i primi 10 minuti, durante i quali i personaggi vengono introdotti, il palco è impostato e le poste in gioco sono stabilite e accentuate in una sequenza che si svolge interamente senza parole, ma non senza suono: l’ingegnoso sound design del film include le delicate cadenze della natura in modo tranquillo e rassicurante. Ma quando il punto di vista diventa quello della figlia adolescente – e in questo la performance della Simmons appare eccezionalmente sensibile – il rumore ambientale è completamente assente. Il risultato è che questo personaggio non sente ciò che non può sentire e non è quindi in grado di discernere i rumori che potrebbero portare alla morte le persone che ama.
Dopo un’ora e mezza, il film esemplifica ulteriormente la narrazione cinematografica, utilizzando la pura grammatica del suono e dell’immagine per creare un’atmosfera credibile di domesticità vissuta e di incombente terrore. Krasinski, lavorando su una sceneggiatura che ha co-scritto con Bryan Woods e Scott Beck, crea un mondo ricco e fantasioso in cui i vicini comunicano con la luce del fuoco e una danza improvvisata con un paio di auricolari che portano nel deserto un sapore quasi di primavera. Per creare l’universo casalingo di “A Quiet Place”, Krasinski ha assemblato un eccellente team di produzione, tra cui figurano lo scenografo Jeffrey Beecroft e la cineasta Charlotte Bruus Christensen, che insieme sono riusciti a conferire un improbabile stato di calore e intimità alla tensione dell’invasione.
L’azione aumenta considerevolmente negli ultimi 45 minuti, quando i mostri che Krasinski ha sapientemente inquadrato in brevi e allusive riprese movimentate, vengono nitidamente e spaventosamente mostrati mettendo in scena sequenze indimenticabili. Ci sono ancora più dettagli che rendono queste scene particolarmente inquietanti, ma il modo migliore per apprezzare “A Quiet Place” è vederlo con il minor numero possibile di preconcetti. Basti dire che Blunt emerge come la vera protagonista in un film di silenzio, resilienza e grinta che culminano nell’espressione facciale del suo personaggio durante la ripresa finale. In quanto celebrazione dell’eloquenza fisica e della narrazione visiva nel cinema muto, “A Quiet Place” riesce a dire la sua, a voce alta, senza però pronunciare parola.
di Giuseppe Di Stefano
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