Prima pagina dell’edizione nazionale de Il Messaggero con un grande disegno tipo copertina della “Domenica del Corriere”
di Paolo Bartolomei
Era una domenica mattina, alle ore 11,25 e la sala da pranzo del ristorante era ancora deserta: di solito la domenica a pranzo quel ristorante era affollato da oltre cento clienti abituali. Poteva essere una tragedia gigantesca. Nella vicina chiesa si stava celebrando la messa e tutti si precipitarono fuori per vedere cosa fosse successo.
L’esplosione fu causata dal guasto di una condotta di gas che dal seminterrato dell’edificio collegava le bombole con le cucine del ristorante. Il tecnico e rivenditore delle bombole del paese (Romano Ficiarà), accompagnato da un cameriere, si recò in cantina per controllare. Il locale però era saturo di gas: appena accesa la luce si verificò l’esplosione con una violenza immane: i corpi di due persone furono scaraventati sul muro della casa dall’altra parte della strada. Ucciso sul colpo anche un commerciante che si trovava davanti al proprio negozio di ferramenta dalla parte opposta della strada (Aris Ficiarà, fratello di Romano), che fu la vittima più anziana, mentre il morto più giovane fu Sandro Amurri, cameriere di appena 17 anni, di Altidona.
Prima pagina dell’edizione nazionale de Il Resto del Carlino
L’esplosione distrusse completamente il ristorante annesso alla soprastante Locanda “Al Gallo” e danneggiò gravemente i due edifici confinanti che furono sgomberati e dichiarati inagibili per molti anni.
Alla notizia fu dato ampio spazio nelle prime pagine di tutti i giornali nazionali.
Le esequie furono celebrate nella Chiesa di Pedaso dall’arcivescovo di Fermo, Norberto Perini, e altri nove sacerdoti; parteciparono tantissime autorità e parlamentari, nonché diverse migliaia di persone, la maggioranza delle quali rimase fuori. Nel benedire le bare il parroco svenne. Il corteo funebre partito dalla chiesa era talmente lungo che quando la testa dello stesso arrivò al cimitero di Pedaso, la coda era ancora davanti alla chiesa.
Ristorante e locanda all’epoca si trovavano lungo la Statale Adriatica poco prima del semaforo, a destra, provenendo da Fermo. Un anno dopo la tragedia il solo ristorante si è spostato nella sede attuale, subito dopo il semaforo.
Le due attività erano gestite da Ferruccio Perotti e dal figlio Filippo. Oggi c’è il nipote Ferruccio che ha 53 anni, aiutato dal papà Filippo quando può. I gestori al momento dello scoppio erano lontani dal locale, il nipote aveva solo 5 anni. L’incidente ha avuto una lunga coda giudiziaria conclusasi quasi 30 anni dopo.
«È stata una tragedia che ha segnato la nostra vita familiare e quella del paese – racconta oggi Ferruccio Perotti – però i miei hanno tenuto duro, si sono subito rimboccati le maniche e hanno riaperto il ristorante dopo solo un anno nella nuova sede. In paese però nessuno ha dimenticato».
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