
di Andrea Braconi
È la domanda principale che ruota intorno a Fermhamente, il festival che da due edizioni caratterizza la città di Fermo anche in ambito scientifico: “Perché è fondamentale comunicare la scienza oggi?”. E su questo interrogativo si sono confrontati alcuni autorevoli personaggi del mondo della comunicazione scientifica e della scienza italiana, moderati in una tavola rotonda da Luigi Amodio direttore dello Science Center della Città della Scienza di Napoli ed invitato dagli organizzatori della manifestazione a far parte del Comitato Scientifico.
“È importante che esperienze del genere non accadano solo nelle grandi città ma anche in centri di provincia” , ha sottolineato in apertura lo stesso Amodio.
“Fermhamente è un progetto cucito con realtà scolastiche non solo della città, ma anche della regione e italiane – ha spiegato il vice sindaco Francesco Trasatti -. Fermo è stata sempre una città conosciuta per il suo lato umanista ma penso all’importanza della Sala del Mappamondo non solo da un punto di vista artistico. Abbiamo una biblioteca, settima in Italia per patrimonio storico, che ha tra i suoi punti di forza anche testi di medicina, come l’erbario. Poi c’è anche il Museo Polare. E allargando l’orizzonte uno vede anche le scuole della nostra città: accanto ad una solida cultura classica c’è un lavoro scientifico da parte non solo dei docenti ma di tutte le progettualità portate avanti. Per questo ci sembrava una sfida interessante quella di dare a Fermo una prospettiva che la leggesse anche sotto un’altra veste, rispetto a quella di città d’arte. Parallelamente alla nascita del festival, che ha visto una gestazione molto corale, è arrivato il riconoscimento dell’Unesco come città della formazione e dell’apprendimento”.
“Amante della scienza da sempre, soprattutto della matematica”: così si è definito Andrea Capozucca, direttore scientifico del festival, che ha ribadito come con Fermhamente la volontà sia quella di “non rimanere muti” e per farlo ci sia bisogno di “uno spazio di condivisione”. “Vogliamo ribaltare il senso del fare scienza: spesso lo scienziato era qualcuno che non doveva rendere conto a nessuno, che nell’immaginario si chiudeva nella sua stanza e faceva i suoi esperimenti. Oggi però lo scienziato non può rimanere nascosto e deve andare ad incontrare la gente nelle piazze. Perché comunicare la scienza significa essere compartecipi. E la scienza addosso è un modo per dire: partiamo da noi”.
La prospettiva dell’università è stata esposta da Emanuele Frontoni, docente di informatica della Politecnica delle Marche. “Oggi fare realtà aumentata e virtuale significa aiutare a guardare. Per noi questo è un giorno importante perché festeggiamo anche la pubblicazione su Neurocomputing, una delle riviste più importanti al mondo, di un articolo frutto del lavoro di post doc di questo territorio”.
Frontoni ha anche lanciato una sorta di appello, invitando ad aumentare nei ragazzi quella consapevolezza che la cultura scientifica è qualcosa che sta alla base di tutti i nostri approcci. “Il grande bisogno di questo territorio che si sta trasformando in tecnologico è di avere molte più persone nei percorsi scientifici. Se laureassimo il triplo dei ragazzi in questo ambito, oggi questi lavorerebbero. Abbiamo richieste per decine di ingegneri informatici. E questo possiamo farlo solo con il metodo Fermhamente, cioè divulgando il più possibile questa conoscenza”.
Sui valori della scienza ha focalizzato la propria attenzione il giornalista Pietro Greco. “È una disciplina particolarmente interessante perché ha un valore in sé. Negli ultimi 400 anni quale altro modo chiaro per vedere il mondo ci ha dato una rappresentazione così nuova del mondo stesso e di noi stessi? Naturalmente lo ha fatto e continua a farlo intrecciandosi con filosofia, storia ed altre materie. Quindi la comunicazione della scienza ha un valore culturale, aiutando a distinguere tra vero e falso, ad avere una maturità culturale ed uno spirito critico. Ma la scienza ha un valore pratico, ricoprendo anche il nostro corpo e non solo la nostra mente. Questo perché le conoscenze scientifiche vengono più sistematicamente trasformate in applicazioni tecnologiche. Oggi i 2/3 della ricchezza mondiale vengono prodotti grazie alla scienza. È anche vero che nel mondo non c’è mai stata questa grande disuguaglianza, quindi si pone il problema della democratizzazione della conoscenza”.
Della rivista Prisma, “che parla di matematica ma che ha anche articoli che sembrano non c’entrare nulla con la matematica”, ha tracciato le principali caratteristiche Angelo Guerraggio. “Parliamo anche di giochi matematici e di idee sul mondo. Come matematici siamo molto fieri del nostro linguaggio ma riconosciamo che abbiamo bisogno anche delle altre culture. Non siamo autosufficienti ma non siamo dei talebani di numeri e di formule; non facciamo divulgazione ma mettere in comune i nostri saperi serve per tentare di risolvere i problemi del mondo. E con la matematica il mondo si comprende meglio ed è possibile cambiare ciò che non ci piace. È un po’ come l’inglese: se non conosci un minimo di linguaggio scientifico, se non sai interpretare un grafico è un po come se non conoscessi l’inglese”.
Filippo Martelli, professore di fisica all’Università di Urbino, ha spiegato come, per fare scoperte rilevanti, occorra un team di persone esperte e con competenze diverse, “che devono costruire apparecchiature in grado di rilevare cose piccolissime”, e come la tecnologia necessaria sia estremamente complessa. “Ma la parte che lo Stato investe per questo aspetto è ben poca cosa rispetto agli altri costi fissi. Quindi a cosa serve farlo? A fare da volano ad un’industria che non ci sarebbe senza la ricerca scientifica. Eventi come questo di Fermo, quindi, potrebbero dare un contributo sostanziale alla divulgazione”.
Di grande interesse anche l’intervento conclusivo del giornalista Andrea Vico:“La scienza parla con i numeri, ma non sempre sono lo strumento più efficace. Per me il punto di partenza è il target, capire a chi sto parlando. C’è però un problema di linguaggio e per questo le persone non riescono ad approfittare della quantità di sapere che la scienza può dare. C’è poi una grande critica alla mia categoria: in tv lo scienziato spesso funziona male e a volte non ha la competenza di gestire le proprie comunicazioni su Facebook. Quindi, è meglio evitare. Riguardo al messaggio che il festival sta lanciando, è importante che questo venga fatto anche nei 362 giorni del resto dell’anno”.





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