di Sandro Renzi
Per un ente, la Camera di Commercio, che ieri ha chiuso i battenti quasi nell’indifferenza bipartisan della politica, un altro, sempre ieri, si è rinnovato, la Provincia. In questo caso l’attenzione della politica non è mancata. Tra sindaci e consiglieri dei quaranta comuni chiamati al voto si sono presentati in 372 su 493, ovvero il 75%. Tra alchimie politiche, accordi dell’ultima ora, tradimenti al fotofinish, improbabili alleanze, le urne alla fine hanno dato ragione alla maggioranza uscente di centrosinistra.
Decapitata di tante funzioni, spostate ad Ancona, da una riforma che si è stoppata a metà, la Provincia di Fermo continuerà tuttavia più che a vivere a “sopravvivere” anche per i prossimi anni, a confrontarsi con risorse che non bastano, a fare i conti con le casse vuote, a dare rappresentanza ad un comprensorio che, purtroppo, continua a vivere ai margini della politica che conta. Ed anche fare programmazione diventerà un’impresa improba. I 5 Stelle, forza di governo, dal canto loro si sono chiamati fuori ma hanno dovuto inghiottire il rospo delle elezioni provinciali. Da sempre infatti il Movimento osteggia questo ente intermedio, appeso ad un filo. Stupisce, o forse non dovrebbe, a questo punto “l’accanimento” delle altre forze politiche e civiche per “assaltare” l’ente Provincia e rovesciarne gli equilibri. Settimane, per non dire mesi, di contatti ed incontri per preparare le liste, ed anche questa volta non sono mancate le soprese. La scelta di campo del sindaco di Fermo, Paolo Calcinaro, che di fatto chiude definitivamente al Pd. O l’ingresso in consiglio di due esponenti di Porto San Giorgio, Antonello Cossiri (Pd) per la maggioranza e Carlo Del Vecchio (Fi) per la minoranza. O ancora il tentativo, andato a vuoto, dell’ala sinistra di mettere un piede nel palazzo di viale Trento.
Per ciascun fronte, c’è da scommetterci, si apriranno, come da prassi, le consuete rese dei conti interne. Certo è che, se questo stesso impegno, profuso per il rinnovo della Provincia, la politica locale l’avesse rivolto pure a difesa del mantenimento della Camera di Commercio di Fermo o, in alternativa, a sostegno della costituzione di una Camera per il sud delle Marche, forse adesso il più importante distretto calzaturiero del Paese sarebbe meno solo. Come se, messa di fronte ad una scelta su chi buttare giù dalla torre tra l’ente Provincia, così come ridisegnato dal decreto Delrio del 2014, e la Camera di Commercio, la politica del fermano suo malgrado, avesse optato per l’ente guidato da Di Battista. E non può essere un’attenuante il fatto che il tutto sia stato deciso ad Ancona. E che gli strumenti di lotta a disposizione non fossero sufficienti per osteggiare un percorso avvallato da destra a sinistra nel capoluogo dorico. Il tessuto economico-produttivo del Fermano, alle prese con una crisi che sta investendo anche aziende importanti, rischia di restare senza una guida certa. Il che non vuol dire che la Camera di Commercio di Fermo, a sua volta, non avesse bisogno di un cambio di marcia. Sebbene potesse contare sul consenso unanime delle associazioni di categoria e degli stessi sindacati, l’ente camerale fermano richiedeva un salto di qualità per passare da soggetto istituzionale e di rappresentanza a soggetto concretamente promotore degli interessi di tutti i comparti produttivi. Uno scatto che le consentisse di battere anche i pugni all’occorrenza. Per farlo sarebbe bastato poco. Ma senza un concreto supporto della politica, nella sua accezione più ampia, il destino era ormai segnato.
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