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Fiere calzaturiere al via,
la voce delle associazioni:
“Basta andare da soli, puntiamo sulla ricerca”

ECONOMIA - Le considerazioni di Giampietro Melchiorri (Confindustria), Gianluca Mecozzi (Cna) e Paolo Capponi (Confartigianato), tra situazione del distretto, vecchi e nuovi mercati

di Andrea Braconi

Distretto calzaturiero, si (ri)parte. Con il Pitti Immagine Uomo, che si protrarrà fino a venerdì 11 gennaio, ha preso il via un calendario fieristico al quale il comparto trainante del nostro territorio si approccia con tante preoccupazioni, ma anche con la speranza che quella qualità che l’ha sempre contraddistinto, sia in Italia che nel mondo, possa veramente fare la differenza e regalare finalmente una boccata d’ossigeno alle imprese.

Da Firenze ci si sposterà a Riva del Garda per l’Expo Riva Schuh (12-15 gennaio), Berlino (15-17 gennaio), passando per l’atteso Micam al quartiere fieristico di Fiera Milano Rho (10-13 febbraio), l’Obuv di Mosca (19-22 marzo) ed altri importanti eventi espositivi in varie parti del globo.

E per cercare di arginare una crisi che sta lasciando pesanti ripercussioni, dai vertici delle associazioni di categoria arrivano messaggi inequivocabili, soprattutto sulle aggregazioni di imprese e sulla necessità di puntare su ricerca e innovazione del prodotto.

 

CONFINDUSTRIA

Per Giampietro Melchiorri, vice presidente di Confindustria Centro Adriatico, il distretto calzaturiero si presenta ai primi appuntamenti “in pompa magna”. “A livello sia qualitativo che quantitativo – rimarca – è il numero uno in Italia, sicuramente il più importante se parliamo di calzature”.

Il Pitti e Berlino, in particolare, restano iniziative “più di élite, dove il nostro distretto così pieno di eccellenze potrebbe dire la sua”. “È un auspicio che ci facciamo tutti – aggiunge Melchiorri -, sia chi parteciperà sia l’intera filiera”.

Un auspicio quanto mai necessario, guardando i dati più recenti.

“Sì, il distretto è un po’ ferito, non per cause nostre locali ma per una crisi mondiale, soprattutto in quelle aree in cui vendevamo scarpe, dalla Russia all’Europa stessa, a partire dalla Germania. L’America è quasi inarrivabile, la Cina idem: attualmente sono questi due i migliori mercati, ma non ci si arriva dalla sera alla mattina. Quelli dove invece facevamo un buon lavoro in passato oggi soffrono.”

E dove potrebbe aprirsi qualche spiraglio?

“Recentemente ho assistito ad un convegno ascoltando le riflessioni di un importante addetto ai lavori, il quale ha ribadito una cosa fondamentale: i veri mercati oggi sono quello statunitense e quello cinese, i soldi sono lì. Ma vanno aggrediti non da soli, perché più piccolo sei più non ti vedi. Quindi ci vuole una politica imprenditoriale più aperta alle unioni, alle fusioni, alle aggregazioni e meno all’individualismo. Un aspetto, questo, per noi particolarmente difficile ma è tempo di cambiare mentalità, altrimenti mercati come questi rimangono irraggiungibili.”

E sul fronte europeo?

“Non c’è un Paese al quale guardare con positività, la crisi è dappertutto, basta osservare quello che è accaduto in Francia o ragionare sugli effetti della Brexit. Quindi, a quale mercato ci affacciamo? Continuiamo a pensare a quello della Russia, che da 5-6 è entrato in crisi? Andiamo in Estremo Oriente o in India? Non è semplice, e voglio ribadirlo: i mercati con la M maiuscola sono gli Stati Uniti e la Cina. Ma non possiamo andare da soli.”

Sono passaggi che richiedono dinamiche completamente diverse.

“Sicuramente diverse da quelle utilizzate fino ad adesso e che ci hanno fatto forti fino ad adesso. Ma anche noi come associazione ci stiamo impegnando molto, così come stanno facendo le altre associazioni. Lo stesso con il Tavolo provinciale, un segnale che vogliamo dare agli imprenditori che da soli non si va più da nessuna parte. L’aggregazione è un input chiaro nei loro confronti: vedete, lo facciamo noi e dovete farlo anche voi.”

 

CNA (Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa)

Aggregazione e ricerca sono i cardini del ragionamento di Gianluca Mecozzi, portavoce di Cna Federmoda, che proprio sul finire dello scorso anno aveva prodotto un report contenente dati fortemente negativi del settore (LEGGI QUI).

Mecozzi, alla luce delle analisi fatte qual è lo stato d’animo?

“Siamo coscienti di quanto sia difficile ottenere un risultato positivo. Si va per limitare i danni, perché purtroppo le fiere non sono più quelle di una volta per i più svariati motivi: l’approccio diverso al mercato, i social, l’online, l’invasione dei prodotti stranieri, l’impoverimento della classe media e altro ancora. Certo, noi non possiamo cambiare il mondo ma possiamo andare in fiera portando un prodotto un po’ diverso rispetto a quello che invade centri commerciali e grande distribuzione. Ma soprattutto dobbiamo metterci in testa che non si vive solo di fiera, che resta sì una vetrina importante ma non può più spingerci a pensare di non fare più i campioni. Oramai i campioni vanno fatti almeno 8 mesi all’anno, deve esserci una continua ricerca alla novità, al prodotto e alla propria identità. Bisogna anche avere una velocità nella produzione, perché purtroppo il cliente non riesce a fare un ordine programmato a 6-7 mesi come era prima: spesso e volentieri fa l’ordine non dico sul pronto, ma fa più uscite. Adesso potrebbero esserci tanti ordinativi anche per l’estivo, quindi l’impresa deve essere pronta a fare una produzione veloce.”

Insomma, bisogna cambiare l’approccio.

“Se pensassimo di andare in fiera con i campioni, di esporli, di prendere commissioni, tornare, prendere gli acconti e stare a posto fino a settembre, penso che questa sia utopia. Quindi, bisogna essere realisti.”

E la strada da seguire per gli artigiani qual è?

“Secondo me è cercare di dare un prodotto innovativo nel senso non dell’inventarsi qualcosa, ma spingere ognuno con il suo know-how, uno sul mocassino, un altro sullo spazzolato, un altro ancora sulle scarpe ecologiche e così via. Devi avere e presentarti con la tua specialità. Inutile andare lì a scopiazzare una firma, nei confronti della quale a livello di prezzo arriverai sempre secondo.”

Dal vostro punto di vista è possibile continuare ad andare da soli in un mercato globale in continua evoluzione?

“Il modello per me è l’Emilia Romagna, sono stati precursori di aggregazioni, consorzi, reti d’impresa, etc. Sono d’accordo con questi percorsi, ma la mentalità marchigiana è molto diversa, sicuramente più chiusa. Invece, dobbiamo cambiare urgentemente e fare anche noi queste aggregazioni.”

Altri elementi per rilanciare il settore?

“Sarebbe bello una volta stretto un rapporto con il cliente di farlo venire sul territorio, permettendogli di vedere la realtà, la produzione e la ricerca che sì fa. In questo modo diventerebbe molto più motivato a comprare. Più che andare noi ad aggredire nuovi mercati, bisogna quindi invitare i clienti giusti qui. Pensa all’esempio di Carpi, dove in 8 hanno fatto una fiera e tutti li consideravano pazzi. Adesso sono arrivati a 64 imprese, comprese alcune marchigiane, e ci sono compratori da tutto il mondo. Finita la fiera, dopo le ore 18 i clienti vanno dentro alle aziende a vedere come lavorano.”

Una strategia, quella della fiera nel territorio, della quale si è discusso molto negli anni.

“Mi auguro che con l’area di crisi complessa si riesca a fare, ma bisogna che tutti remiamo dalla stessa parte. Prima il pesce grande mangiava il pesce piccolo, oggi invece è il pesce veloce che mangia il pesce lento. Noi pensiamo di essere l’ombelico del mondo, invece non ci conosce nessuno. Cosa aspettiamo allora a muoverci insieme?”

Chiudiamo con i mercati di riferimento.

“Dipende sempre dal prodotto, ma da alcune stagioni si parla parecchio di Medio Oriente, Dubai, Oman, Arabia. Della Russia conosciamo la situazione, mentre gli Stati Uniti cercano un prodotto più economico. Ci sono poi alcuni Paesi dell’Africa dove esistono grossi contrasti, ma dove c’è una classe di ricchi che apprezza molto il made in Italy. Sicuramente mercati come la Russia di dieci anni fa o la Germania di vent’anni fa non li vedo e non credo che li troveremo a breve.”

 

CONFARTIGIANATO

Per la Confartigianato si è appena aperto un anno importante, che ha visto l’unione dei territori maceratese, fermano e ascolano. Ne abbiamo parlato con Paolo Capponi, responsabile dell’Ufficio Export di Confartigianato.

Con quali prospettive entrate nel periodo delle fiere?

“Le prospettive sono quelle di trovare spazi nuovi e nuove opportunità per le nostre imprese. Ovvio che la situazione non è sicuramente positiva, veniamo da una serie di iniziative fieristiche che purtroppo non hanno prodotto i risultati che ci si attendeva. Le piccole aziende stanno comunque lavorando alacremente sui nuovi campionari, iniziamo con il Pitti, poi il Micam, poi il White e poi la Russia.”

La Russia, appunto. Un tasto ancora dolente.

“Ancora soffriamo dell’embargo e della svalutazione del rublo, quindi lì non stiamo recuperando quello che speravamo e che nel 2017 eravamo riusciti a recuperare.”

E i nuovi mercati?

“Anche se piccolo, c’è in forte crescita quello della Svizzera, al quale qualcuno sta puntando. Ciò che ci manca è un contributo come quello camerale per le partecipazione alle fiere. Si spera con la nuova Camera unica che possa essere rinnovato, come ci chiedono i nostri imprenditori. Puntiamo sempre e comunque sul mercato europeo, Germania in particolare, poi Francia e Belgio. Tra gli emergenti c’è sempre la Cina che resta altalenante per le nostre imprese, non è costante e fluttua molto. Emirati Arabi per noi pochissimo, lì si ricercano prevalentemente le griffe. Siamo perciò in attesa di questa nuova ondata di fiere.”

Come Confartigianato in che modo vi presentate?

“Abbiamo la fortuna di aver fatto accordi importanti con fiere di rilievo, a partire dal White di Milano. In questo modo le nostre imprese hanno la possibilità di partecipare a costi calmierati. Poi abbiamo fatto accordi con la Homi di Milano e con Sposaitalia, cercando di compensare ciò che ci sta mancando a livello di contributi. L’auspicio è quello che, come sempre accaduto, sia la Regione che la nuova Camera di Commercio, speriamo nel più breve tempo possibile, riprendano il discorso sull’internazionalizzazione perché oggi un’impresa che non internazionalizza rimane al passo.”

Dal primo gennaio nelle Marche del sud siete un’unica associazione.

“Come associati siamo circa 6.000 nel Maceratese, ma con Fermo e Ascoli dovremmo essere intorno agli 8.500. Sicuramente oggi non hanno più senso i campanilismi o frammentare imprese e territori. Con un mondo commercialmente globale è giusto lavorare insieme, anche per ottimizzare i costi. D’altronde le aziende appartengono agli stessi distretti, sia nella moda che nell’agroalimentare, quindi consideriamo un grandissimo successo l’esserci messi insieme, anche per avere un maggiore peso politico all’interno di tanti ambiti.”


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