“La via della seta è preziosa, ma è ancora piena di buche e rischi. L’accordo tra Cina e Italia è in questi giorni in discussione e per questo ci permettiamo di inviarle alcune osservazioni e suggerimenti”. Il presidente di Confindustria Centro Adriatico, Simone Mariani, ha scritto una lunga e articolata lettera al presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte per sottoporgli le principali questioni che interessano il mondo imprenditoriale.
“Siamo preoccupati. La collaborazione bilaterale è sempre positiva, ma se si gioca alla pari. E invece ci sono ancora alcuni aspetti rilevanti nei rapporti commerciali e investimenti che rischiano solo di penalizzare il nostro sistema imprenditoriale”. Diversi i settori interessati tra Piceno e Fermano, dalla moda all’agroalimentare fino alla meccanica.
I NODI
1-“Parto dalla tutela dei diritti di proprietà intellettuale (P.I.) che non è stata inserita all’interno del documento che così non garantisce un impegno legale o finanziario per le due parti ma promuove solo parità di condizioni e rispetto dei diritti di P.I. Un testo troppo generico quello prodotto. La Cina è un paese in continua transizione che ha cambiato la propria economia e sta tentando di sdoganarsi dall’etichetta di contraffattore. Ma non è così a causa del sistema giudiziario cinese tra giudici locali e Corte suprema del popolo che hanno costituito un notevole freno al miglioramento delle tutele. Non dimentichiamo che la Cina, nei numeri, rimane il più grande produttore ed esportatore mondiale di falsi”.
2-I marchi di impresa. “Sono sistematiche le contraffazioni, con i nostri imprenditori spesso costretti a “riacquistare” i marchi, a intraprendere estenuanti battaglie legali per poterli usare in Cina, a modificare le proprie strategie commerciali, se non addirittura a dover “ripiegare” su un diverso marchio per poter legittimamente vendere in Cina, a discapito della brand identity delle loro imprese. Potremmo scrivere un libro sulle traversie dei nostri associati in Cina”. La richiesta è semplice: “Realizzare una tutela mirata e preventiva delle privative industriali sul territorio cinese, al fine di prevenire e combattere efficacemente il fenomeno incalzante della contraffazione che si muove tra trademark grabbing, squatting, hijiacking, dilution”.
3-Il mondo del web non è esente da rischi per gli imprenditori italiani, la via della seta è anche digitale. “Sui siti di commercio elettronico è più difficile distinguere i prodotti veri da quelli falsi che vengono spesso riprodotti con immagini ufficiali tratte dai cataloghi originali del titolare dei diritti violati con conseguente violazione del diritto d’autore e dei diritti connessi”.
4-L’italian sounding, problema che non riguarda solo la Cina, continua a essere protagonista sul mercato internazionale, specialmente nel campo dell’agroalimentare.
“Nel 2013 la Cina ha aggiunto nella legge sui marchi un passaggio specifico, ma si parla solo ‘di osservare principi di correttezza e buona fede nella presentazione delle domande di registrazione e nell’uso dei marchi’. Il problema resta il principio “first to file” secondo il quale chiunque deposita per primo una domanda di marchio è ritenuto legittimo titolare del marchio e può godere a pieno titolo della tutela prevista dalla legge. Nell’accordo che il Governo italiano sta siglando, invece, andrebbe quantomeno inserito il “first to use”, riconoscendo la tutela dell’uso del marchio. Altrimenti, come accade, non si riesce a combattere efficacemente i fenomeni contraffattivi, neppure in presenza di considerevoli prove sull’uso anteriore del marchio da parte dei legittimi titolari. Per tutelarci noi imprenditori dobbiamo farci seguire da professionisti lungo una serie di step complessi e costosi. Per questo chiediamo al Governo di definire al meglio la tutela, che è articolata in più passaggi: deposito dei propri marchi in Cina con largo anticipo, deposito per le singole classi e sottoclassi, deposito della traslitterazione del proprio marchio in ideogrammi cinesi, deposito del copyright”.
LE SOLUZIONI
Una prima soluzione è nella formazione degli agenti doganali: “Forniamo loro gli strumenti necessari (manuali, cataloghi, schede tecniche dei propri prodotti) per innalzare il loro livello di accuratezza nell’intercettare la merce sospetta di contraffazione (in particolare quella in uscita dalla Cina)”.
In questo contesto, la richiesta finale di Confindustria Centro Adriatico, condivisa da ogni categoria datoriale, è semplice: “Cooperazione, un’azione multilevel che possa portare ad una partecipazione nella riforma e innovazione del quadro normativo della Cina, all’elaborazione di materiale di riferimento e di linee guida che possano orientare le imprese, nonché alla formazione del personale (giudici e funzionari delle amministrazioni competenti) che operano a tutti i livelli in materia di proprietà intellettuale. Solo così avremo davvero una via della seta di qualità e non contraffatta”.
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