Prima al campo di internamento, poi in Municipio:
la visita della senatrice a vita Liliana Segre

SERVIGLIANO - La Segre terrà la sua testimonianza e racconterà ai ragazzi e alla cittadinanza la tragedia dell’Olocausto, vissuto in prima persona. Al termine incontrerà il Rotary Club Alto Fermano Sibillini

E’ stata definita nei minimi dettagli la scaletta relativa alla visita, storica per il Fermano, della Senatrice a vita Liliana Segre a Servigliano. Invitata dal Comune, dalla Casa della Memoria e dal senatore Francesco Verducci, la Segre sarà a Servigliano nella mattinata di martedì 23 aprile.

Sarà una visita divisa in tre momenti, alla quale parteciperanno le massime autorità politiche, civili e militari del Fermano. Alle ore 11.30, la cerimonia davanti al campo di internamento di Servigliano in memoria delle decine di ebrei che nel 1944 da qui partirono per essere deportate ad Auschwitz. A mezzogiorno, camminata all’interno del campo e della Casa della Memoria.

Alle 12.30 in municipio, nella sala del teatro, la Segre terrà la sua testimonianza e racconterà ai ragazzi e alla cittadinanza la tragedia dell’Olocausto, vissuto in prima persona. A dare il benvenuto sarà il sindaco Marco Rotoni, che commenta: “Per Servigliano e il Fermano sarà una giornata da ricordare. Siamo pronti a vivere una pagina di storia molto importante dal significato altissimo”.

L’incontro sarà coordinato da Vincenzo Varagona, caposervizio della Rai. La testimonianza della Segre sarà preceduta dalle note di “Schindler’s List”, eseguite dalla violinista Alice Di Monte e dalla pianista Emma Principi, due tra le migliori allieve del Conservatorio “Pergolesi” di Fermo.

Al termine della parte pubblica, la Segre incontrerà il Rotary Club Alto Fermano Sibillini che da vent’anni organizza eventi in memoria delle vittime dell’Olocausto e dei Giusti tra le Nazioni, come nel caso di Giorgio Perlasca e di Irena Sendler.

Liliana Segre, nata a Milano il 10 settembre 1930, il 19 gennaio 2018 è stata nominata Senatrice a vita dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Nata a Milano in una famiglia ebrea, la Segre visse con suo padre, Alberto Segre, e i nonni paterni. La madre, Lucia Foligno, morì quando Liliana non aveva neanche compiuto un anno. Di famiglia laica, Liliana ebbe la consapevolezza del suo essere ebrea attraverso il dramma delle leggi razziali fasciste del 1938, in seguito alle quali viene espulsa dalla scuola. Dopo l’intensificazione della persecuzione degli ebrei italiani, suo padre la nascose presso degli amici, utilizzando documenti falsi. Il 10 dicembre 1943 provò, assieme al padre e due cugini, a fuggire a Lugano, in Svizzera: i quattro furono però respinti dalle autorità del paese elvetico. Il giorno dopo, venne arrestata a Selvetta di Viggiù, in provincia di Varese, all’età di tredici anni. Dopo sei giorni in carcere a Varese, fu trasferita a Como e poi a Milano, dove fu detenuta per quaranta giorni. Il 30 gennaio 1944 venne deportata dal Binario 21 della stazione di Milano Centrale al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, che raggiunse sette giorni dopo. Fu subito separata dal padre, che non rivide mai più e che sarebbe morto il successivo 27 aprile. Il 18 maggio 1944 anche i suoi nonni paterni furono arrestati a Inverigo (Como); vennero deportati dopo qualche settimana ad Auschwitz, dove furono uccisi al loro arrivo, il 30 giugno. Alla selezione, Liliana Segre ricevette il numero di matricola 75190, che le venne tatuato sull’avambraccio. Fu impiegata nel lavoro forzato presso la fabbrica di munizioni Union, che apparteneva alla Siemens, lavoro che svolse per circa un anno. Durante la sua prigionia subì altre tre selezioni. Alla fine di gennaio del 1945, dopo l’evacuazione del campo, affrontò la marcia della morte verso la Germania. Venne liberata dall’Armata Rossa il primo maggio 1945 dal campo di Malchow, un sottocampo del campo di concentramento di Ravensbrück. Dei 776 bambini italiani di età inferiore ai 14 anni che furono deportati ad Auschwitz, Liliana fu tra i venticinque sopravvissuti. Dopo lo sterminio nazista, visse con i nonni materni, di origini marchigiane, unici superstiti della sua famiglia. Nel 1948 conobbe Alfredo Belli Paci, cattolico, anch’egli reduce dai campi di concentramento nazisti per essersi rifiutato di aderire alla Repubblica Sociale. I due si sposarono nel 1951 ed ebbero tre figli.


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