di Giorgio Cisbani
Enrico Berlingue
Caro direttore, invio questa lettera per la pubblicazione, ringraziandoti anticipatamente.
Nel ricordare l’anniversario della morte di Enrico Berlinguer (9 giugno 1984) la memoria torna a quel 12 novembre 1999, quando, per la prima volta in Italia, a Fermo, a Palazzo dei Priori, si svolse un convegno sul segretario del PCI: ”Berliguer 15 anni dopo”.
Presente il figlio Marco, intervennero: Aldo Tortorella, Antonio Rubbi, Marco Fumagalli, Giuseppe Chiarante, già dirigenti del Pci; e Chiara Valentini, giornalista di Repubblica.
Antonio Rubbi – responsabile dell’ufficio esteri -, si diffuse ampiamente sulle pressanti sollecitazioni di Willy Brandt, affinchè Berlinguer non “ rompesse “ i rapporti con il partito comunista dell’Unione Sovietica, perché, così al meglio, il Pci – nel quadro di una politica di distensione e di pace -, potesse continuare a svolgere il ruolo essenziale di tramite con i partiti socialisti e socialdemocratici dell’Occidente. Già nel 1969 a Mosca, da vice-segretario, Berlinguer aveva affermato: “ Noi respingiamo il concetto che possa esservi un modello di società socialista unico e valido per tutte le situazioni “.
Dei rapporti di Berlinguer con Brandt ( combattente anti-nazista, divenuto Cancelliere della Germania, oltre che Presidente dei socialdemocratici e Premio Nobel per la Pace nel 1971, si sapeva, ma la richiesta di non “ rompere “ con il PCUS, non era – allora – di larga conoscenza.
Il ricordo di Enrico Berlinguer, nonostante siano trascorsi 35 anni, e nonostante, viviamo tempi che consumano tutto in un lampo, non è stato scalfito. Forse, i suoi “i pensieri lunghi “, il suo rigore morale, quell’alto senso della cosa pubblica, la sua proverbiale coerenza e il forte legame con i ceti popolari, vengono maggiormente esaltati dalle incredibili ” miserie politiche ” odierne.
Penso che, anche per questa ed altre ricchezze morali e culturali, non dobbiamo disperare. La sua ed altre eredità, non possono essere svanite nel nulla. Mi pare che, in mezzo alle nebbie, prevalentemente nell’ associazionismo e nel sindacato, si stia intravvedendo qualcosa di positivo.
Di certo, l’affetto e la stima verso “un uomo di parte “ che, oltre i suoi confini ideologici, guardava al Paese e al mondo; colui che nel 1972, dopo Gramsci, Togliatti e Longo, divenne segretario del Partito comunista italiano, non è un dato secondario. Anzi, più che altro mi pare un segno di forte speranza. Indica che Il Paese, nei suoi mille rivoli, ha le energie per riprendersi.
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