LE MARCHE TERREMOTATE
In 30.000 ancora fuori dalla propria casa
La vera riforma?
Accelerare la ricostruzione

IL PUNTO - A tre anni dalle scosse che devastarono il centro Italia restano ancora diversi nodi non ancora sciolti. Una riflessione che passa dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella al dirigente del Servizio Protezione Civile regionale David Piccinini

di Andrea Braconi

Per risolvere la crisi di Governo servono decisioni chiare e in tempi brevi. Una considerazione, quella del presidente Mattarella, che prendiamo in prestito per spostare l’attenzione sul fronte di una ricostruzione post sisma che deve essere altrettanto chiara e in tempi brevi, anzi brevissimi.

E lo facciamo per due ordini di motivi.

Il primo è che di terremoto, in una settimana istituzionalmente cruciale per il nostro Paese, non si è proprio parlato, né in Senato né in quel continuo elencare punti di convergenza tra forze politiche. Un tema che, stante almeno alle dichiarazioni dei leader di tutti i partiti, gruppi o movimenti, sembra avere un peso insignificante rispetto ad altre vertenze aperte da nord a sud della Penisola.

Il secondo è che i cittadini delle aree devastate dalle scosse succedutesi tra il 24 agosto e il 30 ottobre 2016 – e parliamo di ben 4 regioni del centro Italia (tra queste Marche e Lazio, che dovettero piangere rispettivamente 51 e 248 vittime) – meritano quell’attenzione che non sono mai riusciti a percepire o a veder concretizzata. Nonostante tre primi ministri (Renzi – Gentiloni – Conte) e nonostante tre commissari straordinari (Errani – De Micheli – Farabollini).

Eppure, in questi tre anni, di propaganda (mista ad un qualunquismo a dir poco esasperato) ne è stata riversata molta. Tutta sulla pelle delle stesse comunità terremotate. Da un lato chi mente battendo il ferro sul ridondante “non si è fatto nulla”, sapendo di mentire. Dall’altro chi sbandiera obiettivi mai raggiunti, chimere rimaste su microfoni o carta mentre in quelle terre martoriate le ferite non smettono di bruciare.

Allora, tra le tante dichiarazioni che si stanno susseguendo in queste ore, ci è sembrata meritevole di riflessione la lettera aperta di David Piccinini, dirigente del Servizio Protezione Civile della Regione Marche, rivolta a tutto il sistema del volontariato. Lettera nella quale a parlare sono prima di tutto i dati:

– 2 gli eventi sismici di magnitudo 6 o superiore, altri 8 sopra a magnitudo 5 e ben 20 sopra a magnitudo 4,5;

– 85 i Comuni marchigiani nel cratere sismico;

– 163 quelli che hanno subito danni;

– quasi 50.000 gli edifici dichiarati inagibili;

– 61.000 le giornate lavorative da parte della Protezione Civile;

– ancora 30.000 le persone fuori dalle proprie abitazioni (assistite con contributo di autonoma sistemazione, destinatarie di Sae o appartamenti acquisiti al patrimonio pubblico, se non ospitate in strutture ricettive);

– 675.840 le tonnellate di macerie rimosse, altre 400.000 da rimuovere e tre siti di deposito temporaneo;

– quasi 2.000 le Sae realizzate in 75 aree;

– centinaia gli interventi riguardanti servizi essenziali come acqua, energia elettrica e gas;

– migliaia gli interventi di messa in sicurezza;

– oltre 3.700 i beni culturali cosiddetti mobili recuperati (unitamente a centinaia di interventi di messa in sicurezza);

– 267 le attività produttive delocalizzate;

– 359 le stalle provvisorie e 121 i moduli provvisori per il settore agricolo;

– 16 le corse straordinarie di trasporto pubblico locale;

– 910 i milioni di euro spesi complessivamente.

Cifre che, però, passano in secondo piano rispetto ad alcuni passaggi cruciali nelle considerazioni dello stesso Piccinini. “Credo che insieme abbiamo dato una concreta testimonianza delle forze belle che ancora ci sono nel nostro Paese – ha tenuto a rimarcare – e la dimostrazione concreta di questo è che le comunità colpite, oggi, possono continuare a vivere sui loro territori proprio grazie a tutti gli interventi che insieme abbiamo realizzato”.

Il rammarico di Piccinini è di non essere sempre riuscito a corrispondere a tutte le aspettative, raccogliendo anche malumori, contestazioni e persino sfiducia. “Sono il primo a dispiacermi di ciò e ad assumere la mia parte di responsabilità; tuttavia va anche detto che abbiamo cercato di ascoltare tutti per migliorarci e fare ciò che era nelle nostre possibilità. A tre anni dall’inizio della sequenza sismica, dato per scontato che tutto può sempre essere fatto meglio, mi permetto di dire che il nostro lavoro ha consentito di superare una delle più grandi calamità naturali che hanno colpito la nostra regione”.

Una consapevolezza piena, a differenza di altri rappresentanti istituzionali che hanno preferito dileguarsi, conclusa con un ringraziamento ai tanti professionisti e volontari, oltre che alle istituzioni, che lo hanno affiancato in questo lungo percorso.

Ma adesso – e questo non competete a Piccinini – serve un’indifferibile inversione di tendenza, a partire da una sburocratizzazione delle pratiche e degli iter contemplati delle normative vigenti. È questa la prima riforma che la popolazione marchigiana (insieme a quelle del Lazio, dell’Umbria e dell’Abruzzo) chiede all’esecutivo nazionale che, forse, vedrà la luce nelle prossime ore. E se così non fosse, che almeno dalle urne esca una maggioranza capace di assumere “decisioni chiare e in tempi brevi”. Come legittimamente pretende il presidente Mattarella. E come attendono, da tre anni, tutti quelli che hanno ancora nella mente (e nelle orecchie) il frastuono del sisma: bambini e adulti, imprenditori e amministratori. Cittadini, che meritano rispetto.


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