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IL DIARIO DI TEATRI SENZA FRONTIERE
“La foresta bianca di San Paolo, le favelas qui non si vedono, coperte dai palazzi e da muri”

SAN PAOLO DEL BRASILE - "L'avevo già letto e ne ho avuto conferma, le favelas, città nella città, regno dei poveracci, qui non si vedono, a differenza di Rio de Janeiro, che dista circa trecento chilometri, a Sau Paulo le brutture sono nascoste, coperte dai palazzi, da muri e da altro e comunque, anche girando, non si vedono"

 

di  Marco Renzi
Foto Sorina Simona Furdui

 

LA FORESTA BIANCA

Arrivare a San Paolo, per chi come me non c’era mai stato prima, è come impattare con un corpo alieno. Smaltite le quasi dodici ore di volo e annessi fusi orari, la prima cosa che i nostri angeli custodi di “Menino Deus”, l’Associazione creata da Padre Luigi Valentini, partner del progetto “Teatri Senza Frontiere”, ci hanno portano a vedere è un grattacielo di 41 piani costruito da imprese italiane, in cima c’è una terrazza panoramica dalla quale si può vedere la città e farsene un’idea. Lo spettacolo che si è aperto davanti ai nostri occhi è stato a dir poco stupefacente, una foresta immensa e senza fine, fatta non di alberi ma di palazzi e grattacieli tutti bianchi, un agglomerato somigliante alle città immaginarie di “guerre stellari”, quelle megalopoli del futuro cinematografico che occupano tutto il pianeta senza spazi liberi. La vista è la medesima, solo che qui è reale. San Paolo è la più grande città di tutta l’America Latina, chi dice 13, chi 14 milioni, chi 20 con i dintorni, la risposta più sensata a questa domanda è quella della responsabile di “Menino Deus” che ha detto “milioni”, alla richiesta di specificare quanti, ha risposto ancora “milioni”, nessuno sa con esattezza quanti, sono milioni e da quella balconata si vedono tutti. L’impatto genera un’inevitabile confusione e la prima domanda che si chiede la mia testa provinciale è “Perchè”. Perchè non farne 30 più piccole? Domanda scema ma pur sempre domanda. Trenta Regioni Marche insieme, 30 Fermo, 30 Ascoli Piceno, 30 Ancona, Fano, Pesaro, Urbino, tutte concentrate in un unico sterminato blocco bianco. La cosa di cui ci si meraviglia è che ci sia aria da respirare e che dai rubinetti esca acqua, poi si cerca di capire qualcosa che non può essere capito ed emerge prepotente la riflessione sulla capacità umana, quella che è riuscita a mettere insieme tutta quella roba e a farla persino funzionare, perché poi, girando, si capisce come quell’ accrocco fantascientifico abbia un suo respiro, tutto da leggere e scoprire.


Lo skyline di San Paolo è fatto da palazzi alti mediamente sui trenta piani, stretti ed alti, fusti di cemento privi di rami, sui colori bianco e beige, tra loro palazzi più bassi, pochissimo verde e strade straboccanti di traffico. L’avevo già letto e ne ho avuto conferma, le favelas, città nella città, regno dei poveracci, qui non si vedono, a differenza di Rio de Janeiro, che dista circa trecento chilometri, a Sau Paulo le brutture sono nascoste, coperte dai palazzi, da muri e da altro e comunque, anche girando, non si vedono. L’unico segno dell’emarginazione che abita in questo megaluogo sono i tanti barboni che si incontrano per la strada.
Il nostro primo giorno di permanenza coincide con la domenica e in questa giornata alcune strade della città vengono chiuse al traffico diventando spazi sociali nei quali si riversano decine di migliaia di persone, qui i numeri sono tutti al massimo valore esponenziale. Le strade e alcuni cavalcavia si riempiono di musicisti, corridori, biciclette, monopattini, mercati, venditori di noci di cocco, massaggiatori new age e tutta la variopinta e umana diversità fa festa. Alle 18 della sera, nell’Avenida Paulista, arrivano tre auto della polizia a lampeggianti e sirene accese, procedono a passo d’uomo, seguite da una frotta di automobili pronte a riprendersi quanto impunemente ceduto, spazzano via gli ultimi residui di una giornata vissuta in tanti e ridanno la strada a un traffico che è subito caotico e vociante.

LA CITTA’ DEGLI ELICOTTERI
Dal lunedì cominciamo a sentire e vedere passare sopra le nostre teste elicotteri in continuazione, ce ne sono quasi 500 in servizio a San Paolo, sono privati e pubblici, taxi elicottero, mezzi di trasporto ad appannaggio di chi se li può permettere: manger, capitani d’industria, politici, persone che volano sopra le ore e ore di traffico in cui tutti gli altri restano quotidianamente imbottigliati. Fa paura San Paolo, richiede permanenza, approfondimento, certamente vivendoci si troveranno delle traiettorie, delle linee in mezzo a quelle di tutti gli altri milioni, spazi indispensabili alla sopravvivenza, di questo siamo certi come pure del fatto che l’impatto iniziale è devastante.

Padre Luigi Valentini è stato insignito due anni fa della cittadinanza onoraria di questa megalopoli, per aver dedicato la propria esistenza al servizio degli esclusi che qui di certo non mancano, per aver costruito scuole destinate ai figli delle favelas, per aver dato loro istruzione, speranza e futuro. Siamo ospiti delle sue creazioni, racchiuse nell’Associazione “Menino Deus”, che oggi non opera più solo a San Paolo ma in tantissime altre città di questa immensa nazione. Da Lunedì abbiamo iniziato il lavoro per cui siamo venuti, l’equipe è composta da undici persone provenienti da diverse città e compagnie: Proscenio Teatro di Fermo, Teatro Bertolt Brecht di Formia, Granteatrino/Casa di Pulcinella di Bari, Teatro di Stracci di Cesena e Meccaniche Semplici di Pesaro, abbiamo attivato un laboratorio con ragazzi che vengono dalle zone più povere della città, sono una quarantina in tutto, con loro costruiremo uno spettacolo che poi rappresenteremo in pubblico e alla presenza dei loro genitori a fine corso, siamo certi che non sarà un momento come tutti gli altri. Parallelamente ogni giorno abbiamo cominciato a visitare e visiteremo ancora i vari centri creati da Padre Gigio, qui lo chiamano tutti così, scuole e spazi di formazione a ridosso o dentro le favelas stesse, faremo spettacoli, produrremo sorrisi, incontri, curiosità reciproche, arricchendoci umanamente e non ci sembra cosa da poco. Grazie per questa opportunità a Padre Gigio e a tutta la straordinaria equipe di “Menino Deus” che ci ha accolto con un affetto davvero difficile da dimenticare.


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