Effetto sisma,
lo spopolamento raddoppia
I sindaci: «No a borghi presepe,
servono lavoro e servizi»

DATI E PROPOSTE - L'esito della ricerca denominata “Terre di ricerca – Un’indagine collaborativa sul cratere marchigiano” e le considerazioni dei primi cittadini di Amandola e Montefalcone Appennino

di Andrea Braconi

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, in occasione della sua uscita lo scorso 13 settembre nelle aree terremotate, riferendosi ai ritardi nella ricostruzione aveva parlato di una sorta di Progetto Appennino. Un piano, come ricorda il sindaco di Amandola Adolfo Marinangeli, presente a quell’incontro, capace di guardare oltre la sola sistemazione e messa in sicurezza degli edifici, dando prospettive concrete in termini economici, formativi e di servizi alla comunità.

Perché il fenomeno dello spopolamento, già in atto prima del sisma, non poteva e non può essere contrastato semplicemente sistemando qualche parete. Ed è questo un principio condiviso dagli amministratori dell’area montana, a partire dallo stesso Marinangeli.

“Era prevedibile – commenta – perché come abbiamo sempre detto il terremoto ha accelerato tutti i processi in atto. Per questa ragione sempre di più noi sindaci continuiamo a chiedere fortemente che il progetto ricostruzione non sia a sé stante, altrimenti rischiamo di creare presepi tanto belli ma vuoti”.

Concetto ribadito anche in occasione di un convegno con la Politecnica di Ancona. “Tentiamo di fare, e subito, un progetto strategico che guardi insieme anche ad una ricostruzione economica. Penso al turismo, che sta tornando ad occupare i nostri territori e quindi lavoriamo anche su questo: ricostruire i borghi senza dare una finalità non serve, perderemmo un’occasione importante senza utilizzare pienamente i fondi che ci sono stati consegnati. Pensiamo, quindi, anche ad una ricostruzione dei borghi finalizzata al turismo che sta riempiendo le zone montane: ad Amandola, per fare un esempio, nel 2019 abbiamo avuto un rientro di visitatori quasi simile al 2016, una stagione quella che si era caratterizzata per un vero e proprio boom. E se continua questo trend bisogna mettere a disposizione strutture residenziali, con i nostri borghi pensati come spazi attrattivi e ricettivi. Questo, a cascata, innescherebbe anche una serie di servizi agganciati al turismo”.

Perché tutto si calcola rispetto alle presenze, quindi anche gli stessi servizi, tiene a ricordare Marinangeli. “Nella zona montana si sta lavorando per il ripristino dei servizi socio sanitari. Alcuni inglesi mi hanno spiegato come per loro sia stato dirimente nella scelta di fermarsi nelle nostre zone la costruzione dell’ospedale, ricominciando così ad acquistare case. E parlo anche di israeliani e di svedesi, che si sono affacciati recentemente. Altra necessità è legata ai lavori per la fibra ottica: portare la banda ultra larga in queste zone per loro è un servizio essenziale, perché ti riconnette nell’ambito internazionale del lavoro”.

Questi gli auspici. Di certo, però, i dati presentati nell’ambito del progetto “Terre di ricerca – Un’indagine collaborativa sul cratere marchigiano”, sviluppato dal gruppo di ricerca T3 e dalla rete di attivisti e cittadini Terre in Moto Marche, tracciano un quadro ancora più preoccupante.

Nel Fermano, in quelle zone dove sono stati riscontrati i danni più ingenti legati alle scosse di tre anni fa, infatti, mostrano come il calo demografico, che tra 2013 e 2016 aveva fatto registrare un -1,8%, nel periodo 2016-2019 abbia raggiunto un -3,6%, con 184 persone residenti in meno.

Poco consolatorio è il fatto che la nostra provincia sia quella con le percentuali migliori (-4,1% per il Maceratese e addirittura -5,7% per l’Ascolano), rimanendo sotto la media regionale del -4,3%.

L’invito degli autori della ricerca è quello di una lettura attenta dei dati, considerata la presenza di evidenti distorsioni. “La prima – scrivono – legata al fatto che l’aggiornamento anagrafico ad opera dei Comuni, specie se piccoli, è solitamente lento e farraginoso. Inoltre, molti soggetti, pur non vivendo più nelle aree del cratere, o nel medesimo Comune in cui abitavano prima del 2016, hanno mantenuto al suo interno la residenza, sperando, un giorno, di riportarvi la propria quotidianità”.

Altro passaggio importante, per una migliore definizione dell’impatto economico del terremoto, è quello riguardante le categorie più colpite. “Il 16,2% del campione denuncia un netto peggioramento nella condizione economica della propria famiglia, a cui va aggiunto un ulteriore 25% che descrive un leggero peggioramento: sommati, si arriva alla stima di un impatto negativo, sul piano economico, per il 41,2% del campione”. A denunciare un peggioramento (53,3%) è soprattutto la fascia di età 45-54 anni (53,3%). “Ma il dato rimane alto anche tra i 55-64enni (49,6%) e gli ultra-sessantacinquenni (47,1%), a fronte di un impatto più contenuto tra le fasce più giovani”.

Quanto ai singoli settori, commentano gli autori, “i lavoratori che maggiormente hanno risentito del sisma e delle sue conseguenze su un piano economico sono quelli occupati nel settore primario (agricoltura e allevamento: 72%), seguiti da quanti operano nei comparti del commercio e delle attività ricettive (57,6%), dell’edilizia (44,7%) e dell’industria manifatturiera (44,5%)”. Meno danneggiati, invece, gli occupati di metalmeccanica (24%), informatica (25%), pubbliche amministrazioni e forze armate (28,6%).

“Il terremoto ha anticipato in sostanza i tempi – è anche il pensiero di Giorgio Grifonelli, primo cittadino di Montefalcone Appennino -. Devo dire che da noi il fenomeno è abbastanza contenuto, parliamo di un paio di famiglie che hanno trovato collocazione nei paesi limitrofi, ma il problema ci preoccupa e dobbiamo assolutamente pensare a delle soluzioni”.

La proposta di Grifonelli è di ampio respiro. “Sicuramente serve una legge a livello nazionale. Noi sindaci dobbiamo fare la nostra parte, ma è un tema che deve essere affrontato con una norma ad hoc riguardante i piccoli Comuni. Lo Stato deve guardarci come una potenzialità e non abbandonarci, lasciandoci a chiudere le falle. Dobbiamo e vogliamo essere ascoltati. Di questo ne trarrebbe beneficio l’intero territorio nazionale”.

Altro nodo cruciale è quello delle infrastrutture. “Devono essere pensate non limitate ad una piccola realtà, ma a livello di ambiti provinciali e regionali. Non penso assolutamente a nuove infrastrutture, ma ad un ripristino ed un miglioramento dell’esistente. Per Montefalcone mi vengono in mente la strada da Pedaso verso Comunanza e dall’altra parte la parte di Mare-Monti da Servigliano ad Amandola. Sicuramente faciliterebbero il ripopolamento, accanto ad un freno alla dismissione di tanti servizi: occorre mantenere, anzi, rafforzare quelli esistenti. Penso all’incontro che abbiamo avuto con Poste Italiane, che già lo scorso anno ci aveva dato una bella risposta lasciando ai Comuni sotto i 3.000 abitanti gli sportelli postali e riconfermando quest’azione strategica. E penso anche alle scuole, il cuore delle nostre comunità”.

Il primo cittadino torna al Conte pensiero, condividendone i principi ispiratori. “Da questo drammatico evento se almeno riuscissimo a fare un progetto serio, una ricostruzione che non sia solo materiale delle mura e degli edifici, ma soprattutto di un tessuto sociale, sarebbe veramente una svolta. Partiamo dal capire cosa mancava in quest’area prima del sisma per agire concretamente oggi. In questo modo si cambierebbe una tendenza e ciò che prima era meno appetibile potrebbe tornare ad esserlo. Conte dice bene ma bisogna cambiare marcia, pensare ad un’altro tipo di ricostruzione che sia veramente a 360 gradi”.


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