di Andrea Braconi
Venezia devastata dall’acqua alta, come mai negli ultimi 50 anni. La spiaggia di Rimini letteralmente inghiottita. Il Salento che, oltre ad onde alte 5 metri, non si è fatto mancare una tromba d’aria.
Mentre nel Fermano si ragiona a suon di comunicati stampa sulle scogliere emerse che (forse) verranno, gettando uno sguardo alle cronache nazionali che hanno segnato le ultime 48 ore dell’intero bacino adriatico, si percepisce nitidamente come il problema non possa essere circoscritto alla costruzione di pur necessarie barriere a difesa della costa.
Che i ritardi delle istituzioni, tutte, siano ultra decennali è un dato di fatto. Che negli ultimi mesi ci sia stata un’accelerazione, almeno quanto a risorse messe a disposizione e progetti sul tavolo, è altrettanto inconfutabile.
Ma che un’urbanizzazione a dir poco mostruosa e una pessima gestione delle aste fluviali abbia condizionato in maniera drammatica la vita di cittadini e gestori di attività balneari, è un elemento che, nella discussione generale, non può in alcun modo essere relegato a dietrologia da ambientalista o da seguace della Greta di turno.
E se consideriamo che è d’obbligo inserire in questo scenario quantomeno una riflessione sui cambiamenti climatici che stanno interessando tutto il pianeta – passando per i poli e l’Amazzonia, fino all’avanzata della desertificazione in Africa come nell’area centrale dell’Asia – ecco che fermarsi e deporre l’ascia di guerra pre elettorale sarebbe cosa buona e giusta.
Il problema, infatti, per quanto lo si voglia nascondere dietro diatribe da bar sport, è gigantesco. E tocca livelli decisamente superiori rispetto ad un ufficio tecnico al primo piano o a qualche Sala Giunta vista mare. Certo, si dirà, nel frattempo che salviamo il mondo, proviamo a salvare gli chalet e quella porzione di turismo che, anno dopo anno, è diventata un’autentica boccata di ossigeno.
Ma se lo sguardo non viene alzato, se si continua a ragionare solo di fronte all’emergenza (sempre più quotidiana e quasi senza più stagioni), se la programmazione collettiva latita, se ognuno coltiva il proprio orticello di slogan e risposte già confezionate – sempre che l’acqua, all’improvviso, non arrivi anche lì -, se tutto questo non viene rovesciato andando invece verso un modello più ampio e ad un ripensamento, dove possibile, delle nostre scelte di sviluppo urbanistico e non solo, allora per l’arrivo “grande onda” è già iniziato il conto alla rovescia. E in quel caso sarà impossibile rimanere sulla riva, sia essa di un fiume o dell’Adriatico, ad aspettare i cadaveri dei nostri errori. Perché saremo tutti responsabili. Non soltanto quelli che, legittimamente o meno, oggi additiamo colpevoli con un semplice colpo di tastiera. Mentre fuori continua a diluviare.
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