di Andrea Braconi
È sicuramente significativo (oltre che preoccupante) il consumo di nuove sostanze, tra le quali spiccano soprattutto i cannabinoidi sintetici che hanno effetti molto diversi rispetto a quelli tradizionali, come sottolinea Giorgio Pannelli, dal primo ottobre direttore dell’Unità Operativa Complessa Servizio Territoriale Dipendenze Patologiche al posto della dottoressa Gianna Sacchini, andata in pensione.
“Sono molto più attivanti, producono agitazione o inducono più facilmente una dispercezione della realtà – spiega Pannelli -. Inoltre, si comincia a sentir parlare dell’uso dei fentanili, oppiacei antidolorifici che negli Stati Uniti hanno visto una vera e proprio epidemia, provocando una quantità importante di eccessi per overdose. Si comincia anche a sapere che i fentanili vengono utilizzati per tagliare l’eroina di strada, ma ancora non abbiamo una situazione paragonabile a quella oltreoceano. Certo, temiamo che possa accadere, perché sono prodotti a costo molto più basso e facilmente reperibili sul mercato, ma restiamo sempre vigili”.
Al Servizio, però, come tiene a precisare, istituzionalmente questi pazienti ancora non arrivano. “Ce ne saranno stati un paio, tradizionalmente dipendenti da eroina e poi diventati utilizzatori di ossicodone, ma nulla di più. Insomma, la situazione sembra essere sotto controllo”.
PARLANO I NUMERI
Anno dopo anno, la popolazione di pazienti cresce. E la conferma, oltre che dalla voce del dottor Pannelli, arriva dai dati. “Nel 2018 abbiamo avuto 589 pazienti dipendenti da sostanze illecite (eroina, cocaina e cannabis, quest’ultima con una quota parte più bassa), 163 pazienti alcol dipendenti e 64 giocatori patologici. Poi ci sono stati 72 appoggi, cioè i pazienti che vengono da altre zone, magari per vacanza o motivi di lavoro e che temporaneamente vengono appoggiati a questo servizio dal Serd di provenienza. Da quello che riscontriamo, quindi, la tendenza è in aumento”.
IL RUOLO DELLA FAMIGLIA
Altro dato rilevante è quello delle 82 famiglie alle quali viene fornito un servizio di sostegno denominato “La famiglia come risorsa”. Si tratta di un progetto, come spiega Pannelli, che viene portato avanti da alcuni anni e che si rivolge ai familiari che possono diventare una risorsa per i pazienti stessi, evitando o comunque limitando il conflitto che normalmente si viene a creare tra la stessa famiglia e il portatore del problema. “Un conflitto che non serve a nessuno, neanche al sistema, e la famiglia quindi può diventare una risorsa, un elemento nel progetto di cura della persona”.
QUALI FASCE D’ETÀ
Partendo dal presupposto di una netta predominanza del sesso maschile, sono pochi i giovanissimi che fanno capo al Dipartimento, mentre la fascia più rappresentata è quella tra i 30 e i 50 anni. “Devo dire che oggi c’è una sensibilità in più sui cannabinoidi nel coglierne il rischio legato all’uso. Storicamente questa è una sostanza che il senso comune tollera, ma la sensazione è che oggi i genitori leggano di più la sua pericolosità”.
DENTRO IL SERVIZIO
Altro passaggio, altri numeri. Questa volta quelli inerenti il personale che affianca il direttore. “Abbiamo 3 medici (di cui uno a tempo determinato), 1 amministrativo, 4 infermieri, 1 educatore professionale, 2 assistenti sociali (di cui una a tempo determinato), 1 sociologo e 3 psicologi. A questi vanno aggiunti 2 operatori di strada dell’unità mobile. Tutte persone altamente qualificate, che svolgono un lavoro a dir poco prezioso”.
L’AGGIORNAMENTO DELLA PREVENZIONE
Tra queste figure c’è anche Rosita Mori, psicologa e referente per le attività di promozione della salute e di prevenzione per l’Area Vasta 4. La dottoressa ci mostra un documento elaborato per la Questura, contenente le logiche che ispirano, appunto, i programmi relativi alla prevenzione. “Dalla fine degli anni ’90 abbiamo sempre avuto il compito di fare attività di prevenzione nelle scuole medie e superiori, i famosi CIC (Centri Informazione e Consulenza). Era un mandato ministeriale e negli anni lo stesso Ministero della Salute ha sempre destinato fondi a Servizi e Dipartimenti finalizzati proprio ad azioni di prevenzione, focalizzate anche sulle dipendenze”.
Un fenomeno mutato nel tempo, che ha quindi richiesto un aggiornamento delle attività, al punto che oggi vengono stanziati fondi destinati alla prevenzione del gioco d’azzardo patologico, una nuova emergenza che si unisce a tutte le dipendenze comportamentali.
STUDENTI E INSEGNANTI, COMPETENZE E FORMAZIONE
“La scuola è sempre stato il contesto privilegiato – prosegue -, dove abbiamo fatto le nostre attività di prevenzione universale e cioè destinate a tutti prima ancora che i segnali della patologia si vedano. Con i giovani stiamo potenziando le competenze di vita, le cosiddette life skills, connettendo questa azione con il piano regionale della prevenzione, che deriva da quello nazionale: perché queste competenze sono state riconosciute dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come fondamentali per promuovere comportamenti salutari nei ragazzi, in primis, e, a seguire, negli adulti”.
Una grande azione che viene fatta è quella della formazione degli insegnanti, frutto di un cambiamento degli interventi. “I dati che abbiamo ci dicono infatti che l’incontro tra studenti ed esperto non produce risultati, quindi ci siamo spostati sul formare la figura educativa. Un insegnante formato che va poi a lavorare con il ragazzo e ha con lui una relazione educativa risulta più efficace dell’intervento spot in classe”.
Il Dipartimento, come conferma Mori, si è spostato sempre più su interventi validati. “È difficile che andiamo nelle scuole a proporre azioni che nascono dalla nostra inventiva, portiamo invece avanti interventi che hanno alle spalle uno studio e che sono stati sperimentati positivamente”.
IL BISOGNO DI UNA RETE
Un lavoro importante è quello che viene sviluppato con Ambiti Sociali e Comuni. “La prevenzione ha senso se viene fatta all’interno di logiche comunitarie, per questo ci siamo mossi connettendoci con gli amministratori e anche con altri portatori di interesse. Ne è un esempio concreto l’evento del prossimo 11 dicembre, che si terrà in serata nella Sala dei Ritratti di Fermo, realizzato in collaborazione con Federazione Italiana Tabaccai, Confcommercio e Questura. In questo momento si è creata una rete che sembra essere virtuosa, dove l’idea di tutti è stata di mettersi intorno ad un tavolo e di raccontare il lavoro da diversi punti di vista, per far sì che ognuno possa comprendere il bisogno e la realtà dell’altro”.
Perché la logica di fondo, rimarca, non può che essere quella che tutti gli attori condividano un messaggio di tutela del cittadino. “È importante che la persona non si ammali o che sia comunque consapevole della patologia. Si è fatto tanto in questi anni e noi continueremo a farlo”.
PRIMA IL DISAGIO
Una puntualizzazione di carattere generale e clinico arriva dal dottor Pannelli, che spiega come l’importanza dei CIC sia non nell’intercettare l’uso di sostanze ma piuttosto il disagio, una qualche forma di malessere adolescenziale che è il prerequisito per arrivare alla sostanza e a qualsiasi tipo di dipendenza, gioco compreso. “Occorre sensibilizzare insegnanti e genitori su quella che è la porta d’ingresso di un possibile utilizzo di sostanze o di un disturbo psicopatologico”.
“Nei CIC è cambiata la cultura – aggiunge Mori -: prima c’erano gli sportelli, mentre adesso la scuola intercetta il disagio e legge anche la domanda del ragazzo. Spesso ho come interlocutore privilegiato l’adulto, che sia il genitore o l’insegnante, perché un intervento fatto su un ragazzo in un contesto scolastico lascia il tempo che trova. La mia funzione dentro al CIC è di orientare il portatore di un disagio verso i servizi più adatti: prima questo era un grande contenitore dove arrivava di tutto, mentre adesso viene fatta la selezione e c’è sempre più la consapevolezza che non esiste soltanto l’esperto, ma l’aspetto preventivo deve essere un compito di cui dobbiamo sentirci tutti responsabili, ognuno deve fare il suo per intercettare questo disagio”.
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