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La battaglia di un paziente Covid:
“Questo virus toglie il respiro,
è subdolo e non sai dove ti porta”

IL RACCONTO di Cesare Settembretti, 56 anni, ricoverato dal 27 marzo a Civitanova. Atletico, sportivo e dinamico, la sua vita è cambiata in pochissimo tempo: «Tre giorni e si è scatenato il finimondo: febbre alta, tosse, dolori al torace e schiena. Nessuno è immune, si è fortunati a stare a casa. Il punto non è uscire o non uscire, ma non ammalarsi. Perché questa malattia è terribile». Ora le sue condizioni sono in miglioramento: «Quando sarò fuori guarderò il cielo e farò un respiro profondo»

 

Il reparto di Ematologia al Covid Hospital di Civitanova

 

di Laura Boccanera

«Quando sarò fuori guarderò il cielo e farò un respiro profondo». Aria e cielo, sembrano così lontani e inafferrabili dal secondo piano dell’ospedale Covid di Civitanova. E’ a loro che pensa Cesare Settembretti, civitanovese di 56 anni ricoverato dal 27 marzo nel reparto di Ematologia, positivo al Coronavirus. Il virus gli ha cambiato la vita. Atletico, sportivo, dinamico, a sua memoria mai colpito da un’influenza. Eppure si ritrova in ospedale col fiato corto e la tosse. Il peggio sembra superato, ma la paura di tanto in tanto torna a bussare e lui lancia un appello: «Chi è la fuori non si rende conto di essere fortunato. Il punto non è uscire o non uscire, ma non ammalarsi. Questa malattia è terribile, è subdola, non sai dove ti porta». Il cellulare l’unica finestra per spiare quel mondo rimasto là fuori. Ed è proprio tramite i social che Cronache Maceratesi lo ha raggiunto.

Settembretti mostra le dita in segno di vittoria dal Covid hospital di Civitanova

Settembretti come sta oggi?

«Molto meglio grazie a Dio. La febbre va e viene ma non più alta come nei giorni scorsi. Riesco a scrivere sul cellulare, parlare invece è più difficile, dopo un po’ si scatena la tosse».

Come si è accorto di stare male?

«Avevo dolore alle ossa e febbre, ma solo la sera, poi per tre giorni è sparita. Era rimasto solo il dolore al torace. Poi tempo tre giorni e si è scatenato il finimondo: febbre alta, tosse, dolori al torace e schiena».

Come ha affrontato tutto?

«All’inizio ero tranquillo, monitoravo sempre saturazione, pressione, battiti cardiaci e pensavo in una cosa veloce. Poi invece man mano che passavano i giorni e non passava la febbre, ho iniziato a preoccuparmi. I sintomi erano quelli del Coronavirus, poi certificato dal tampone. L’idea di venire in ospedale vedendo la tv mi terrorizzava, posso dire grazie a mia moglie e alla mia dottoressa che non mi hanno mai lasciato solo. La dottoressa Stefania Marconi è venuta a visitarmi a casa con tutte le precauzioni. È grazie a loro se oggi sono qui e godo di tutte le cure. Io debbo molto, anzi forse la vita alla mia dottoressa che non ha mollato fino all’ultimo affinché l’ambulanza mi portasse in ospedale per la tac toracica. Il 118 deve ascoltare ed eseguire il volere del medico».

Cesare Settembretti prima del Coronavirus

Come passano le giornate lì in ospedale?

«Siamo in 4 nella stanza, passo le giornate buono sul letto, non ho molte forze. Tra noi pazienti parliamo molto poco. Le giornate sono scandite da prelievi alla mattina presto, controlli di vario genere, visite mediche. Tutto funziona molto bene debbo dire. Una cosa che mi ha colpito e vorrei segnalare è la disponibilità al dialogo del personale medico, professionali ma al tempo stesso persone che si mettono lì con te a spiegarti tutto con molta umanità, i dottori Murri, Rosati, Biondi e Marronaro».

A chi sta fuori cosa consiglia?

«Nessuno è immune, chi sta a casa deve pensare di essere fortunato e non comportarsi come se la cosa non possa riguardarlo. Io sono una persona sportiva e sanissima, in vita mia credo di non essere mai stato a casa malato di influenza. Lavoravo, facevo sport, palestra, ciclismo. Questa patologia colpisce anche chi è in perfetta salute e può far precipitare tutto in poco tempo. Io ad esempio ho avuto anche le fibrillazioni, mai avute in precedenza. Ho sempre fatto certificati medici sotto sforzo, agonistici ogni anno, mai avuto nulla, cuore perfetto. Ho amici che stanno lottando per poter tornare a fare la cosa più naturale al mondo, respirare. Stare a casa è rispettare chi in questo momento combatte donandosi con tutto se stesso, mi riferisco al personale medico, paramedico, oss. Provate ad immaginare la fatica di fare un prelievo e trovare una vena con quattro paia di guanti di plastica, bardati come astronauti, con gli occhiali appannati dal sudore».

Quale sarà la prima cosa che farà quando uscirà dall’ospedale?

«Quando sarò fuori guarderò il cielo e farò un respiro profondo. Andrò a casa, ma potrò fare ben poco vista la situazione, anche se vorrei abbracciare tutti i miei cari, i miei amici, tutti. Il loro sostegno con il calore che mi hanno trasmesso è stato fondamentale per affrontare e superare la malattia». 

 

 


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