Mascherine ormai indispensabili:
gravosa e ingiusta l’Iva al 22%

DISAPPUNTO - Un bene ormai diventato di prima necessità non può essere gravato di imposte al 22% che ricadono sul consumatore finale. Il Governo intervenga per l’esenzione o, quantomeno, per assoggettare i dispositivi di protezione individuale ad un’aliquota minima.

di Nunzia Eleuteri

E’ vero che siamo in emergenza e molte cose possono sfuggire ma è anche giunto il momento di avere un’attenzione maggiore su ciò che diventa vitale. Parliamo di beni indispensabili e di aggravio di spese per i cittadini. Parliamo delle tanto “ricercate” mascherine sulle quali l’Erario incassa il 22% dell’IVA. Un’applicazione a dir poco raccapricciante, soprattutto in questo delicato e drammatico momento.

L’Imposta sul Valore Aggiunto in Italia prevede tre aliquote: la minima al 4% sui prodotti di primaria importanza, l’aliquota ridotta al 10% si paga sui prodotti e servizi del settore turistico e su alcuni prodotti alimentari ed infine l’aliquota ordinaria (la più alta) pari al 22% applicata su tutti gli altri prodotti e servizi.

Nessuno avrebbe mai potuto pensare, fino a poche settimane fa, che le mascherine e  altri dispositivi di protezione individuale, potessero rientrare tra i prodotti di prima necessità ma così è stato. Sembra quindi assurdo che lo Stato chieda un’imposta ad aliquota massima su questi beni, ancor più se dovessero diventare obbligatori. Sarebbe giusto e, senza dubbio, opportuno prevedere una totale esenzione o, quantomeno, l’applicazione dell’IVA al 4% come tutti i beni di primaria importanza. 

 

Sono diverse le proteste che stanno arrivando su questo fronte, non ultima la “denuncia” effettuata dal senatore Andrea Cangini che sul suo profilo Facebook parla addirittura di “tassa sulla vita” scrivendo: “Abbiamo accettato il clamoroso ritardo nell’acquisizione sui mercati internazionali delle mascherine necessarie per proteggere popolazione e personale sanitario, poi il ritardo nell’applicazione delle relative esenzioni doganali, poi il ritardo nell’avvio delle gare Consip per produrle in Italia. Non si può accettare che il governo non abbia ancora decretato l’esenzione dell’Iva, o quantomeno la sua riduzione dal 22% al 4%, per le mascherine e per tutto quel materiale sanitario nei fatti equiparabile a farmaci salva vita. Tanto più che c’è chi ipotizza di renderne obbligatorio l’uso. Si configura, così, una nuova tassa: una tassa sulla vita. Stiamo scherzando? Cosa aspetta il governo ad intervenire?”.

Lo sdegno arriva anche dal mondo dell’impresa che tocca con mano l’assurdità. In questi giorni, infatti, molti imprenditori si sono impegnati, con gesti di solidarietà, a fornire mascherine agli ospedali e ai comuni che potessero poi, a loro volta, donarle ai cittadini meno abbienti. Quei cittadini che, volendo provare ad acquistare le mascherine in autonomia, pagherebbero, essendo consumatori finali, un importo comprensivo dell’IVA al 22%.

L’imprenditore del distretto del cappello, Marco Sorbatti

Non poteva quindi sfuggire ad occhi attenti degli imprenditori questa ingiustizia sociale legata ad un bene indispensabile alla salute e quindi alla vita. E sulla scia di tante proteste, si legge sui social anche quella di Marco Sorbatti, stimato e conosciuto imprenditore del distretto del cappello fermano, che così esterna il suo disappunto: “Qualcuno mi spiega perché i DPI, mascherine per intenderci, hanno un’imposizione IVA ancora al 22% e un dazio doganale sull’importazione del 6,2%? Solo ad un governo di incompetenti può sfuggire un particolare simile. E i Cinesi, intanto, daranno inizio ad un business mondiale senza precedenti.”

A tutto ciò aggiungiamo anche una triste considerazione: da novembre 2019, il prezzo delle stesse mascherine è aumentato (a dir poco) del 1000% passando da 50 centesimi a 5 €, se non di più. E il 22% di imposta non agevola di certo i “poveri” richiedenti obbligati all’acquisto. Urge, decisamente, un cambio di rotta.


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