«E’ una ripartenza con le catene alle caviglie». Parole di Fabio Giulianelli, patron della Lube. L’azienda leader in Italia nel settore cucine, ha ripreso ufficialmente oggi la produzione. Gli oltre 500 dipendenti dello stabilimento principale di Passo di Treia sono stati suddivisi in due turni da sette ore ognuno (il primo dalle 6 alle 13), con ingressi e uscite differenziate al cambio.
E per ogni punto di ingresso/uscita c’è un tornello con termoscanner per la misurazione delle temperatura corporea. Inoltre sono state allestite 70 postazioni con gel disinfettante per evitare assembramenti in bagno, a tutti è stato distribuito un vademecum con le principali regole di sicurezza e le mascherine e negli uffici si è provveduto a distanziare le postazioni. Nei prossimi giorni, infine, inizieranno anche i test sierologici a tappeto su base volontaria.
Dipendenti Lube al lavoro
Settimane di preparativi e un attento studio del Protocollo di sicurezza per arrivare ad oggi, giorno d’avvio della fase 2. Ma l’inevitabile entusiasmo dovuto alla ripartenza, si scontra con l’amara lettura della realtà fornita dal patron. «In ottica ripresa è molto complicata – spiega Giulianelli – non so chi ha ispirato questo provvedimento secondo cui si può aprire l’azienda e non i negozi. E’ allucinante, se non mi arrivano gli ordini perché i negozi sono chiusi avrò il respiro corto, è una ripartenza con le catene legate alle caviglie. Non abbiamo una prospettiva davanti, viviamo nell’incertezza e questo è drammatico. Avevamo bisogno di carica, di ripartire con l’entusiasmo, con la determinazione di cercare di riconquistare il fatturato perso. Confidiamo in un ripensamento sull’apertura dei negozi nei prossimi giorni altrimenti sarebbe drammatico».
Uno dei termoscanner installato agli ingressi
Non solo, perché secondo Giulianelli manca anche quella famosa liquidità che sarebbe già dovuta arrivare dopo il decreto Cura Italia. «Non esiste ancora la possibilità di accedere a questo famoso prestito – aggiunge l’amministratore delegato della Lube – Ma anche chi riuscirà a prendere questo fido, servirà alla banca per coprire situazioni già in essere, non ci saranno risorse per rilanciare l’attività. Sarebbe stato più facile dare garanzia di credito verso i clienti: se entro due anni riuscivano a superare le criticità bene, in caso contrario lo Stato mi avrebbe garantito per il credito concesso in questi tre mesi. Insomma la garanzia avrebbero dovuto darla a noi non alle banche. Ai clienti avremmo dato la possibilità di lavorare. Sono problematiche che chi vive in trincea conosce, e allora ci chiediamo perché non vengono affrontati i problemi con concretezza. Perché si parla senza vivere la realtà di chi quotidianamente deve affrontare il lavoro. Questa è la grossa difficoltà che viviamo, non abbiamo fiducia in chi dovrebbe provvedere alla fase 2, vediamo provvedimenti e lontani dalla realtà».
(foto/video Fabio Falcioni)
(redazione Cm)
Controllo al termoscanner
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