di Federica Broglio
Ai tempi del Coronavirus non aumentano solo i casi di positivi o di persone ricoverate in ospedale. C’è un’altra emergenza che non va sottovalutata, quella della povertà. E su questo fronte è urgente una ricognizione, una collaborazione tra tutte le forze in campo per prevedere nei prossimi mesi aiuti e provvidenze che sollevino le famiglie da un disagio sociale che si fa più emergenziale. Un disagio fatto di difficoltà economiche dovute alla mancanza di lavoro, di impossibilità a pagare le bollette, di abbattimento della dignità delle persone e di solitudine.
I dati forniti dalla Caritas sono alquanto preoccupanti. Dal 1 gennaio di quest’anno al 31 ottobre sono state 1711 le famiglie che sistematicamente si avvalgono dell’aiuto dell’istituzione diocesana, e quasi 10mila (9931) gli interventi effettuati tra distribuzione dei pacchi alimentari e pagamento delle utenze. Quasi 500 le persone che si sono rivolte per la prima volta ai Centri di ascolto.
Le famiglie iniziano ad avere fame, hanno bisogno di nutrire i propri figli, non riescono a fare la spesa in autonomia. Ed è questo l’elemento più drammatico delle conseguenze di questa pandemia che si protrae nel tempo senza lasciar intravedere un barlume di luce e speranza di uscirne.
“L’aumento di persone in difficoltà che si rivolgono alla Caritas – spiega il direttore don Pietro Orazi, nel giorno in cui si celebra la giornata mondiale della povertà – è differenziato in zone, concentrandosi principalmente sui territori di Fermo/Lido Tre Archi, San Tommaso, Civitanova e Montegranaro. L’impennata di richieste di aiuto l’abbiamo avuto nel periodo tra marzo e aprile, poi nel periodo estivo la situazione è rimasta stazionaria, ma tra settembre e ottobre l’emergenza si è rifatta sentire in modo preoccupante”.
NON SOLO BOLLETTE, NON CI SONO SOLDI PER LA SPESA
Si tratta principalmente di famiglie di lavoratori che hanno un’occupazione precaria, stagionale o in nero che con il ritorno delle misure restrittive varate dal Governo, si sono ritrovate a non aver più margini di sostentamento. Badanti, addette alle pulizie, maestranze dei settori della ristorazione, tutte categorie rimaste senza lavoro dal giorno alla notte. E senza tutele. Senza la possibilità di pagare l’affitto, le utenze domestiche e in molti casi di fare la spesa.
Fortunatamente dalla Diocesi con i fondi dell’8 per mille, dalle offerte alle parrocchie, dalle donazioni di aziende private o dalla collaborazione con gli enti pubblici, la Caritas è in grado di offrire aiuti alimentari attraverso la distribuzione di pacchi spesa per un valore di circa 100mila euro, a cui si aggiungono altri 130mila dai fondi straordinari Covid. “Abbiamo difficoltà a reperire alcuni alimenti che solitamente non ci vengono donati – avverte don Pietro -. Tanta pasta, latte, scatolame, ma olio d’oliva, tonno, la carne non arriva ovviamente. Così abbiamo sopperito offrendo buoni spesa da spendere al supermercato per acquistare quello di cui hanno bisogno”.
IL PROBLEMA DEL LAVORO
Ma se prima chi bussava alla Caritas era più per una richiesta di emergenza e di aiuto estemporanea, ora è sempre maggiore il numero di chi ha bisogno tutti i mesi. “Ci chiedono di aiutarli a trovare un lavoro – spiega don Pietro -. Noi abbiamo la possibilità di offrirgli tirocini lavorativi, borse lavoro ma la crisi economica si avverte su vasta scala e non riusciamo più a trovare aziende disponibili, proprio perché non c’è lavoro”.
Una situazione che sta facendo emergere un quadro drammatico destinato a peggiorare nei mesi a venire, con un aumento anche di famiglie italiane, meno abituate a ricorrere a queste forme di aiuto. Qui si tocca anche la sfera della dignità della persona: “Spesso si rivolgono alla parrocchia di riferimento – spiega il direttore – chiedendo di far recapitare il pacco alimentare in un altro comune. C’è una sorta di vergogna, di imbarazzo comprensibili”.
Ma anche la Diocesi sta subendo gli effetti della pandemia. “Non siamo mai stati chiusi, nemmeno nel periodo di lockdown, ma i nostri volontari sono anziani – dice don Pietro Orazi – e non possono mettere a rischio la propria salute, per cui abbiamo avuto molte defezioni. Senza contare i preti che hanno contratto il virus, lasciando le parrocchie scoperte di un servizio, come quello di primo ascolto e accoglienza, fondamentale in questo momento”.
APERTA LA MENSA DEI POVERI DE “IL PONTE” MA SOLO DA ASPORTO
A Fermo città poi, all’associazione di volontariato “Il Ponte”, sono raddoppiati persino i pasti alla mensa.
Se a inizio anno ad usufruire del servizio di via Giovanni da Palestrina erano circa 40 persone, ora il numero è passato a 80. Si è acuito il disagio, è aumentata la povertà.
Ma mentre prima i bisognosi potevano sedersi al tavolo, pasteggiare in un ambiente riscaldato e magari scambiare due parole tra loro o con i volontari e trovare conforto in un sorriso, adesso sono costretti a fare la fila davanti alla porta per vedersi consegnare un sacchetto di carta con pane e frutta ed una confezione monouso di minestra, pasteggiando in solitudine.
“E’ un momento delicato non solo per l’emergenza sanitaria ed economica, ma soprattutto sotto il profilo sociale – spiega il presidente dell’associazione Silvano Gallucci -. Per i nostri ospiti era importante il sostegno materiale di cibo, indumenti, libri, giocattoli, vettovaglie per le famiglie, ma più che altro chiedevano conforto sotto il profilo umano. Qui cercano una relazione, uno scambio di vite e ascolto, che con la pandemia gli sono stati negati. A marzo abbiamo dovuto chiudere la mensa, ma non ci siamo fermati e ci siamo organizzati per poter garantire comunque un pasto caldo con porzioni da asporto”.
Le persone più in difficoltà sono principalmente straniere, ma anche tanti fermani che hanno perso il lavoro, gente sola al limite della sopravvivenza, molte le donne che cercano vestiti per i propri figli. E per quelli, circa una decina, che per motivi di salute o di età non possono uscire di casa, la Croce Rossa consegna i pasti a domicilio preparati dall’associazione “Il Ponte”. “Si tratta di un servizio integrato, che parte dai Servizi Sociali dei Comuni limitrofi, principalmente da quello di Fermo, per aiutare i più bisognosi, coloro che non ce la fanno ad arrivare a fine mese ma temo che il numero sia destinato ad aumentare – avverte Gallucci -. Ad ottobre abbiamo distribuito 350 borse alimentari per soddisfare il bisogno di 480 persone”.
L’associazione, presente sul territorio da oltre 30 anni, che conta una quarantina di volontari, è aperta tutti i giorni, 365 giorni l’anno, offrendo non solo il servizio mensa, ma anche abiti, calzature per uomo, donna e bambino, biancheria per la casa e docce calde per chi vive ai margini.
SERVONO VOLONTARI
“Il disagio maggiore e più bruciante non è tanto la povertà ma la solitudine – evidenzia Gallucci – che il Covid sta amplificando ed è per questo che abbiamo bisogno di persone che si mettano al servizio degli altri. Solo così potremo tutti crescere umanamente e salvarci”. E’ dunque un appello alla solidarietà, all’unione di anime, al no all’indifferenza, “perché seppur sia naturale in un periodo come quello che stiamo vivendo chiudersi in se stessi, credo che sia importante guardare oltre e vedere anche l’altrui sofferenza. Mi rendo conto però che fare volontariato è un’attitudine che non tutti possono avere, ma a volte basta molto poco per offrire il proprio aiuto”.
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