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Zona arancione, ristoranti
e bar chiusi: rassegnazione
e incertezza per il futuro

CHIUSURE - I titolari dei pubblici esercizi rassegnati, ma preoccupati per i dipendenti. Hanno anche pagato le tasse: "Da una parte ci danno e dall'altra ci tolgono"
di Federica Broglio
Bar e ristoranti, serrande abbassate. Una chiusura quasi senza preavviso. Da ieri per la categoria serrande giù, almeno per due settimane.
Non è bastata dunque la riduzione dell’orario fino alle 22, sempre che i locali della ristorazione fossero veramente il maggior veicolo di contagio. E nemmeno l’adeguamento alle misure di prevenzione su cui tanti titolari avevano investito. La parola d’ordine fin qui era rispetto delle regole per sopravvivere. La sensazione è che però a pagare un durissimo prezzo sia solo la ristorazione.
Non c’è rabbia, nemmeno disperazione, un po’ di rassegnazione e la consapevolezza che bisogna uscire dalla pandemia. A che prezzo non si sa.
“La salute prima di tutto – ammette Manuela Luca del bar gelateria Kokonuts di Campiglione di Fermo -, so che all’ospedale di Fermo la situazione è drammatica per cui non serve fare polemiche o protestare. Ritengo però che forse, per il recente cambio alla guida della Regione, ci sia un po’ di disorganizzazione. Purtroppo hanno avuto il tempo quest’estate per prendere provvedimenti sulla sanità ma non l’hanno fatto”. Il locale si presenta con spazi ampi sia all’interno che all’esterno, senza possibilità di assembramenti, ma non fa differenza. “Questo mese ci hanno dato una bella ripulita, giusto ora abbiamo pagato le tasse e se anche ci destinano i ristori, da una parte ci danno e dall’altra ci tolgono – spiega – A mio avviso potevano sospenderle per quest’anno. Il mio pensiero va anche ai negozi dei centri commerciali, non tanto alle catene in franchising, ma agli altri, costretti a chiudere il sabato e la domenica. Loro sì che sono stati fortemente penalizzati”.
La mazzata più pesante è arrivata al Gran Caffé Belli, in pieno centro storico a Fermo, che aveva appena riaperto dopo una quarantena di due settimane per un contagio di un dipendente. “Me l’aspettavo sinceramente – confessa Claudio Conigni – e speravo ci fosse una serrata più stretta a ottobre per consentirci di trascorrere il Natale più sereni e al sicuro. Ora temo che ci lasceranno chiusi fino a gennaio”. La preoccupazione è tanta, perché non c’è certezza sui termini delle restrizioni e le festività sono alle porte, ma il timore è che Fermo, in occasione delle festività, si trasformerà in una città fantasma. “L’asporto non è una soluzione – avverte Conigni – non possiamo offrire i nostri piatti in un contenitore di plastica, con la pasta che si scuoce e la pietanza che arriva fredda, ne va della qualità e della reputazione che ci siamo costruiti in questi anni. In queste condizioni davvero non vale la pena tenere aperti, i costi di gestione sono troppo alti”.
E c’è chi pensa soprattutto al proprio personale, come il ristorante Stella Adriatica di Porto San Giorgio. “Abbiamo tenuto aperto solo per garantire il personale. Avevamo deciso da quest’anno di aprire anche a pranzo, scegliendo uno staff di qualità – spiega Mauro Cardinali – ma lavorare a regime ridotto non vale la pena”. Eppure il ristorante garantisce le misure di prevenzione con l’aerazione dei locali nei periodi caldi e riscaldamento a pavimento d’inverno, oltre al distanziamento dei tavoli. Il locale è stato acquistato nel 2016 e ora, dopo aver ammortizzato l’investimento ed aver speso per gli adeguamenti, poteva arrivare una boccata d’ossigeno. “Penso però all’amarezza di quei colleghi che non potranno garantire la cassa integrazione ai dipendenti perché già usufruita. Noi fortunatamente riusciremo ad attivarla – spiega Cardinali – ma purtroppo sto pensando di fare uno stop prolungato, non avrà senso riaprire a gennaio o febbraio, con queste restrizioni non si lavora e non si coprono le spese”.

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