di Andrea Braconi
Per anni è stato chirurgo ad Amandola. Poi il terremoto del 2016, la chiusura dell’ospedale ed il trasferimento l’anno successivo a Macerata, dove tuttora è responsabile della struttura semplice di Chirurgia vascolare dentro il reparto di Chirurgia generale. Per un breve periodo a cavallo tra la prima e la seconda decade degli anni 2000, ha ricoperto anche il ruolo di vice presidente della Provincia di Fermo. Una passione per la politica che lo ha spinto a candidarsi anche a sindaco della sua Monte Vidon Combatte, incarico che ricopre dal maggio del 2019.
Gaetano Massucci è forse la figura migliore per una riflessione approfondita su un’emergenza che si è ripresentata in tutta la sua drammaticità, con forti implicazioni sia di carattere sanitario che sociale. Riusciamo a raggiungerlo telefonicamente dopo che, a fatica, è riuscito a ritagliarsi qualche ora di riposo per aver fatto il turno di notte nella Palazzina Covid di Macerata.
La prima intervista, la sua, di una serie dedicata a quei tanti “fermani” che, in questo tempo sospeso, hanno dato e stanno dando il loro prezioso contributo in altri territori.
Da marzo si è messo a disposizione per operare nei reparti Covid. Ripercorriamo cosa è accaduto in quella prima fase.
“Intanto va spiegato che la chirurgia vascolare di Macerata copre tutta l’Area Vasta 3. Prima dell’emergenza, una volta alla settimana andavo ad operare a San Severino Marche. Poi gli interventi sono stati sospesi perché gli ospedali che sono diventati Medicine Covid hanno trasferito i loro reparti, per cui ho dato disponibilità a partecipare. Prima sono stato a Civitanova, che stava in difficoltà per via del fatto che il Pronto Soccorso era Covid. Per circa un mese e mezzo ho fatto i turni lì, poi ho iniziato nella Palazzina Covid di Macerata e adesso ho ripreso l’attività in parte, perché comunque devo fare anche i turni nel mio reparto.”
A livello di personale sanitario, qual è la reale fotografia di questi reparti?
“Purtroppo le decimazioni stanno dappertutto. E questo non solo perché si ammalano i medici, ma una volta possono avere il figlio positivo, un’altra volta può capitare che si ammali un altro parente e quindi anche loro devono rimanere fuori. Per cui l’impasse dei dipendenti del settore sanitario è pesante.”
Cosa significa lavorare dentro un’emergenza? Che tipo di sconvolgimenti professionali e anche personali comporta?
“Personalmente ricordo ancora l’emergenza terremoto del 1997, alla quale ho partecipato per mesi come volontario. La situazione attuale non mi sta stravolgendo l’esistenza, forse perché mi sento adatto a queste dinamiche. È una vita che sono dentro le emergenze. E poi come fai a tirarti indietro in queste situazioni? È difficile farlo di fronte a certe difficoltà, che sono quelle dei pazienti ma anche dei colleghi. In questi reparti è necessario che la gente ci sia e non è che te la puoi inventare. Naturalmente, la mia professionalità è diversa da un medico di malattie infettive, ma in affiancamento ad altri sei sempre una persona che sta dentro al reparto.”
Quali sono le differenze più sostanziali tra prima e seconda ondata, per quanto concerne la vostra professione?
“Forse in questa fase c’è un po’ più chiarezza da un punto di vista terapeutico. Mi rendo conto che si va più spediti verso certe terapie, mentre all’inizio si era ondeggianti, si usavano certe sostanze e non altre. Adesso più o meno si è standardizzato e mi sembra che la terapia sia migliorata molto: ci si arriva più decisi, ci si arriva probabilmente prima, la mortalità è diversa e probabilmente è legata ad un terapia più precoce. Quindi, da un punto di vista farmacologico e terapeutico ci si è organizzati meglio.”
Il mondo della cardiologia ha lanciato un allarme: “Rischiamo più morti per infarto che per il Covid”.
“Certamente in questa fase tutto è più finalizzato sul Covid, ma le altre patologie comunque sono rimaste: l’infarto, infatti, non chiede il permesso al virus. E quindi ci si ritrova con reparti che magari sono sotto dimensionati o con più difficoltà. Capisco che alcune malattie possono sembrare trascurate, ma purtroppo le energie che assorbe il trattamento del Covid sono quelle e possono mettere in crisi anche gli altri reparti. Lo sforzo, comunque, è immane ma si sta cercando di creare meno disagio possibile. Personalmente, però, credo che la terapia eparinica che si dà in prevenzione per un dolore precordiale in Pronto Soccorso, ma che si fa anche per il Covid, in un certo senso copre alcune altre possibilità. Comunque, ripeto, il rischio aumenta perché le risorse non sono infinite.”
Arriviamo all’altro ruolo, quello di sindaco di un piccolo Comune che si ritrova catapultato dentro una pandemia.
“Il fatto che la nostra sia una piccola comunità forse mi facilita nel vedere direttamente le persone e questo mi ha aiutato a fare delle scelte, durante la prima fase e anche in questa: dalle mascherine sin da subito all’aver cercato di evitare che la mia popolazione particolarmente anziana dovesse uscire, dandogli tutti i servizi possibili. Ecco, forse questo mi ha aiutato a fare qualcosa di più mirato. Anche se un po’ tutti noi sindaci siamo anche andati a cercare idealmente il fattore Fortuna, che in questi casi può essere determinante.”
Governo contro Regioni e Regioni contro Governo, Comuni contro Regioni e Regioni contro Comuni. In linea generale, quanto incide la perenne conflittualità tra istituzioni e l’andare in ordine sparso?
“Sono sempre del parere che l’unione fa la forza, ma se non riesci ad ottenere un risultato con l’unità figuriamoci con la divisione. Qui nel Fermano siamo stati abbastanza compatti nel fare certe richieste e anche come territorio della Valdaso stiamo cercando di fare le attività più unitarie possibili.”
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