di Andrea Braconi
Il 25 novembre si celebra la forza delle donne, il modo con il quale per millenni hanno cercato di contrastare la violenza. Una data individuata per ricordare le sorelle Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal, che nella Repubblica Dominicana si opposero alla dittatura militare e per questo persero la vita. Parole che Laura Gaspari, referente dell’Area Violenza di Genere On The Road Cooperativa Sociale, ha voluto evidenziare in occasione della presentazione della “Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”.
“Dobbiamo mandare questo messaggio e dircelo anche a noi stesse – ha aggiunto in diretta Zoom -, di continuare ad essere forti e capire qual è il nostro obiettivo. Dobbiamo e possiamo chiedere aiuto. E noi possiamo mettere le donne in contatto con forze dell’ordine, servizi sociali e servizi sanitari. Ricordiamo che siamo tutti parte di questo problema, come uomini e come donne”. Un messaggio di speranza e di possibilità, nonostante il Covid abbia azzerato diverse dinamiche.
LA VIOLENZA NON SI ARRESTA
Ma solo attraverso una corretta informazione, l’utilizzo di parole ed un linguaggio attento si può comunicare meglio e far capire quanto questa emergenza sia così vicina a noi. Così Moira Canigola, presidente della Provincia di Fermo, che ha stimolato tutti a non dimenticare, tenendo invece sempre più accesa l’attenzione su questo fenomeno. “Il 25 novembre, giornata voluta dall’Onu per sensibilizzare su questo tema, arriva in una fase particolare e difficile, con la violenza contro le donne che non si arresta. Lo stare a casa ed in isolamento non è un deterrente, un modo per sentirsi più protetti, ma in realtà è una situazione dove aumentano i rischi e le richieste di aiuto”.
Fondamentale, però, resta il portare avanti un impegno che è stato e deve continuare ad essere collettivo. “Qui abbiamo una Commissione Pari Opportunità e i Centri Antiviolenza che sono in prima linea, quindi facciamo circolare le idee e i dati, anche in un periodo in cui tutto sembra sospeso e rinviato”.
UN FENOMENO CHE COLPISCE TUTTI
I dati, appunto. Quei numeri che fotografano una situazione e che permettono di programmare (o riprogrammare) le azioni delle istituzioni e del mondo sociale. Secondo l’Istat, nel periodo marzo-giugno 2020 rispetto al 2019 gli accessi al numero verde anti violenza e stalking 1522 sono schizzati in avanti, con un aumento del 120% delle chiamate. “Da circa 7.000 siamo arrivati 15.000 richieste di aiuto, denunce ed altro. È un fenomeno che colpisce tutte le fasce sociali, tutte le fasce di età e tutta Italia. E anche la nostra provincia non è libera da questa piaga, con dati Istat in linea con quelli nazionali”.
Al numero verde hanno fatto accesso 286 utenti marchigiani, rispetto ai 141 dello scorso anno. Nella provincia di Fermo si è passati da 10 a 18 chiamate inerenti maltrattamenti fisici, psicologici e violenze di diverso genere, spesso all’interno delle mura domestiche. “Nessuna retorica dietro questi dati – ha precisato Canigola -, non lo è mai perché bisogna sempre e comunque parlarne”.
L’ARANCIONE COME SIMBOLO
Per la giornata del 25 novembre saranno diversi i siti istituzionali che si coloreranno di arancione. Un utilizzo da diversi anni promosso dall’Onu a difesa dei diritti umani, come ha ribadito Antonella Orazietti, presidente della Commissione Pari Opportunità della Provincia. “Abbiamo la certezza che la violenza contro le donne sia una grave violazione dei diritti umani, per questo abbiamo voluto coinvolgere le istituzioni per colorare tutta la provincia. Un invito rivolto anche a coloro che sentono di essere vicini a queste problematiche, come gli imprenditori che potranno e vorranno colorare le sedi delle proprie aziende”.
Anche il Comando provinciale dei Carabinieri di Fermo, che da diversi anni ospita la cosiddetta stanza rosa, aderirà all’iniziativa per rimarcare, come ha spiegato Tunia Gentili, membro della Commissione e del Club Soroptimist, quei luoghi in cui in Italia è stato potuto avviare un percorso efficace di contrasto alla violenza.
PREVENZIONE E RETE
Violenza che ha radici profondissime, in campo sociale e culturale. “Ci siamo concentrati su interventi di due aspetti – ha proseguito Orazietti -. Il primo di tipo preventivo, perché ci sono segnali che tutti dovremmo essere in grado di cogliere: quando un rapporto è malato i segnali ci sono e se una donna sente di avere intorno una rete che la sostiene probabilmente troverà il coraggio per avviare un percorso di uscita da quella realtà”.
A seguire c’è proprio la parte legata agli interventi, come la rete territoriale costituita tra tutti gli operatori, che deve essere sempre rafforzata. “Non dobbiamo darla per scontata, va monitorata perché è uno strumento che ci ha permesso di avere un approccio di tipo sinergico”.
LE RISPOSTE DENTRO LA PANDEMIA
E di arancione si tingerà anche la sede di On The Road, associazione impegnata da un quarto di secolo su questo fronte (e su quello della tratta) e che, per sostenere le donne vittime di violenza, ha attivato anche il numero verde provinciale 800215809.
“Questo è un anno molto particolare – è stato l’incipit di Laura Gaspari -, nella prima fase del Lockdown abbiamo registrato un forte calo, se non un azzeramento, di nuovi accessi. C’è stato un aumento di richieste di accesso dopo aprile, perché essere costrette a stare chiuse dentro le proprie case ha limitato la possibilità di chiedere aiuto”.
Ma le richieste attuali sono molto cambiate rispetto al passato. “Lo scorso anno c’era un livello di consapevolezza molto alto, ma oggi ci sono meno risorse di prima, con una rete servizi più scostante rispetto al solito. La pandemia ha peggiorato alcuni funzionamenti che già non erano perfettamente adeguati. E le donne ci hanno raccontato di sentirsi ancora più sole. Per questo abbiamo anche attivato consulenze legali e supporto psicologico in forma telematica, ma questa resta comunque una soluzione temporanea. Stiamo cercando di capire come migliorare e cosa possiamo fare in più, il Covid ci costringerà alla convivenza per diversi mesi ed è necessario trovare risposte adeguate per queste donne e per i minori coinvolti”.
L’INTERVENTO SUI MINORI
Riflessione, quella sui minori, portata avanti anche da Orazietti. “C’è il grande tema della violenza assistita, perché chi assiste a violenza finisce a sua volta per diventare una persona violenta o ad ammettere che la violenza faccia parte della sua vita. Per questo un intervento su minori deve essere adeguatamente preso in considerazione”.
LA GIUSTIZIA CHE FUNZIONA
Alla conferenza on line ha preso parte anche l’avvocato Gabriella Caliandro, che ha condiviso la tenuta del sistema giudiziario, in particolare per quanto riguarda il Tribunale di Fermo, sulla gestione dei processi che passano attraverso il Codice Rosso. “Processi che vengono celebrati e non rinviati, con udienze che si sono tenute regolarmente. È importante offrire tutela alle donne”.
Va sempre evitata, ha aggiunto, la classica frase “a me non capiterà mai”, che spinge a sottovalutare un escalation di violenza. E anche per questo motivo la priorità assoluta e rispettata per questo tipo di processi è un segnale importante, anche per chi inizia ora a orientarsi e a muovere i primi passi “per poter portare in emersione la situazione drammatica che si sta vivendo”.
GLI IMPERATIVI DELL’ONU
Rigorosamente vestita di arancione, Tunia Gentili ha evidenziato quanto sia importante sentire un simbolo o un segnale quando viene dalle istituzioni. “C’è stata una pandemia nascosta dentro la pandemia, come afferma l’Onu che per la prima volta aggiunge 4 parole che sono imperativi: sostenere, prevenire, accogliere e raccogliere tutto ciò che arriva dai territori. Ecco, forse quest’anno possiamo sentirci più coinvolti, dalle istituzioni al singolo cittadino”.
CHI SONO (E QUANTE SONO) LE VITTIME
Ad oggi sono 40 le prese in carico nella provincia di Fermo, rispetto alle 52 registrate al 24 novembre 2019. “Sono quasi tutte italiane, perché hanno più facilità a chiedere aiuto – ha spiegato Gaspari -. Sono sposate, con figli ed un’età dai 30 ai 50 anni. Lo scorso anno registravamo un abbassamento dell’età”.
E se le violenze fisiche sembrano essere leggermente diminuite, sono aumentate di molto quelle di tipo psicologico ed economico, con il Covid che ha rafforzato i comportamenti dei maltratanti.
Sul fronte economico, il Centro Antiviolenza ha dato a queste donne la possibilità anche di svolgere tirocini formativi, un piccolo aiuto economico per supportarle nel percorso verso l’autonomia. “Al di là degli aiuti governativi, che ci sono stati ma spesso sono risultati non pienamente adeguati, noi abbiamo cercato di andare ad alimentare una rete territoriale che già c’era. Lo scorso anno con l’Ambito Sociale abbiamo dato fondi a donne con le quali hanno anche pagato le bollette o un corso di formazione, e sempre insieme stiamo programmando una serie di attività per il 2021, ad esempio per aiutarle a prendere la patente o per fare un corso di alfabetizzazione informatica”.
IL NODO CASE RIFUGIO
Nella zona Marche Sud negli ultimi mesi sono state ricevute soltanto 2 richieste di accesso alle case rifugio. Un dato allarmante, se paragonato a quelli precedenti. “Sono poche le richieste in tutte le Marche ma anche in altre regioni, e vuol dire che anche se hanno iniziato percorso di uscita dalla violenza, lo fanno molto più lentamente di prima. Le donne sentono di non poter uscire di casa, di non poter fare una denuncia o semplicemente andare al Pronto Soccorso risulta difficile. Ma dobbiamo dire che è possibile uscire dalla violenza, che le donne non sono sole”.
ATTENZIONE VERSO LE DONNE STRANIERE
Le donne straniere, come specificato, non hanno accesso alle informazioni e al modo di procedere per avviare una denuncia. “Con le poche che si sono rivolte a noi riusciamo ad attivare mediazioni culturali e linguistiche. A livello comunicativo abbiamo cercato di utilizzare canali come i social network, fatto campagne di sensibilizzazione su Facebook, WhatsApp o Skype. Addirittura iniziato anche a non rispettare più i nostri orari di sportello, cercando di andare incontro alle donne quanto più possibile, anche se sappiamo che non può bastare”.
La difficoltà ad avvicinare queste donne è stata riscontrata anche da Orazietti nel suo lungo percorso, sia professionale che all’interno della Cpo. “Le straniere non si avvicinano a queste realtà come non si avvicinano ad altre, come l’esperienza dei corsi sanitari. Ci sono anche ostacoli linguistici, come Commissione abbiamo fatto diverse iniziative in questo settore ma è difficile rompere questo muro ed entrare nelle relazioni interpersonali”.
Cosa fare, quindi? “Occorre lavorare su parte sociale e culturale, occorre allargare il protocollo ad altri soggetti e far entrare anche queste dinamiche. A causa del virus da un anno non ci incontriamo come rete e l’ultima volta è stato grazie alla testardaggine della nostra Commissione. Dobbiamo anche ripensare al nostro intervento nel dopo Covid, a modalità diverse che ripassino sicuramente attraverso la scuola, uno dei canali sui quali dobbiamo lavorare. Per quanto mi riguarda, mi sono messa a disposizione per fare lo sportello stranieri presso i sindacati anche per questo: forse sono piccoli semi, che però possono essere utilizzati per attecchire”.
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