di Andrea Braconi
“Vent’anni fa tutto questo non era possibile, la malattia anoressica veniva trattata come una patologia cronica o dalla quale non si poteva uscire se non con la morte. Ma oggi tutto questo è sfatato e anche le anoressie con anni di cronicizzazione possono far arrivare ad un’ottima di qualità di vita e ad una guarigione”. In questo passaggio della dottoressa Patrizia Iacopini c’è il senso (e la determinazione) di tante operatrici ed operatori della sanità fermana e regionale che, nonostante l’aggravarsi della situazione, continuano a fronteggiare un’altra emergenza.
La psichiatra responsabile dell’Unità Operativa Semplice Dipartimentale per la cura dei disturbi alimentari dell’Area Vasta 4 ha partecipato ad un convegno organizzato da Fada, l’associazione che riunisce circa 100 familiari di giovani colpiti da questa malattia. “Ogni giorno combatto con questa convinzione – ha aggiunto Iacopini -. A fine trattamento al Dca di Fermo diamo simbolicamente un regalo alle ragazze e ultimamente ci siamo accorti che non ne abbiamo più, avendo fatto 60 dimissioni in due anni e mezzo. Si tratta di un grandissimo risultato, che mi fa dire che non mi sono sbagliata ad intraprendere questa strada”.
“Questa è una giornata importantissima – ha affermato in apertura Carla Coccia, presidente di Fada – ed è un momento in cui si vuole rendere visibile la problematica dei disturbi alimentari per informare e sensibilizzare. Abbiamo voluto che questo convegno fosse dedicato agli adolescenti e ai giovani, che vivono un momento di grande fragilità, e vorremmo anche sensibilizzare le istituzioni sulla necessità di avere luoghi di cura adeguati, in numero sufficiente e per quanto possibile”.
Coccia ha rimarcato come il primo livello di cura sia quello ambulatoriale, ma come la rete comprenda anche strutture residenziali, medicina di base e pediatri. “Vogliamo ambulatori di cura completi e poi finalmente la residenza – il suo appello -, perché troppo spesso le nostre famiglie sono costrette ad andare fuori regione e questo comporta problemi enormi”.
Le prese in carico sono oltre 1.000 in tutte le Marche, ha ribadito Iacopini, soffermandosi anche sull’urgenza di residenze nel territorio regionale. “Più che ai numeri, però, dobbiamo guardare e mirare alla qualità dei servizi, perché quello che fa la differenza è la qualità delle cure, senza mai dimenticare che quando c’è la presa in carico lo è non solo della persona portatrice del disturbo ma di tutta la famiglia. Quello che è stato fatto in questo territorio è stato possibile grazie anche ai colleghi regionali: abbiamo fatto fronte comune e resistito a tanti eventi, portando avanti la convinzione che queste malattie curate e curate in un certo modo possono dare ottimi risultati in termini anche di guarigione. Nella nostra regione, oltre al Salesi che è stata una risorsa fondamentale in questi mesi di pandemia, abbiamo Pesaro, Jesi e Fermo, che si fa carico anche dei territori di Ascoli Piceno e Macerata. Abbiamo attivato anche un servizio ambulatoriale di alta intensità, paragonabile ad un semi residenziale, un’attività che ci ha dato tanti risultati. È stata inserita anche la presa in carico più stretta della famiglia, creando dei gruppi di genitori. L’augurio è di dire che presto avremo una struttura residenziale nelle Marche”.
I disturbi alimentari sono patologie complesse, caratterizzate da alterate abitudini alimentari con eccessiva preoccupazione del peso e delle forme corporee. “L’età maggiore di insorgenza è quella della fase adolescenziale e colpisce prevalentemente il sesso femminile. In Italia sono oltre 3 milioni le persone affette da questo disturbo e nel 2019 sono morti 3.000 adolescenti. L’OMS la considera la seconda causa di morte tra adolescenti dopo gli incidenti stradali. Una caratteristica che accomuna è la distorsione dell’immagine corporea. È fondamentale che la persona si possa sentire capita e accolta da professionisti con alta competenza. Ci sono poi le visite specialistiche anche con il coinvolgimento della famiglia, come detto altra risorsa importante. E da ultima la prevenzione. Come scritto da una nostra paziente in un testo che mi ha colpito molto, si tratta di un male oscuro che va riconosciuto ai primi sintomi”.
“Ad urlare è il corpo e non il soggetto, gran parte delle sofferenze passano proprio attraverso il corpo piuttosto che dalla parola – ha sottolineato Marco Lazzarotto Muratori, psichiatra psicoterapeuta -. E la società in cui ci troviamo è attraversata da due fenomeni. Il primo è quello delle solitudini: siamo dentro una società che sembra promettere l’eternità e le infinite possibilità di legami e che, invece, è fatta di solitudini. Ci interfacciamo con uno schermo, i device tecnologici si interpongono tra noi e l’altro come una sorta di facilitatore ma è soltanto una realtà illusoria. E c’è anche un senso di onnipotenza che si manifesta in molti modi, come nel legame. Oggi le relazioni sono molto più superficiali ed i disturbi alimentari in questo scenario non fanno eccezione. Perché come cambia la società anche i sintomi cambiano, si adattano ai movimenti sociali e oggi compaiono sempre più in età precoce, sempre più gravi ed in commistione con altri sintomi. Io la definirei un’anoressia verbale, quando invece la parola fa legame. C’è una difficoltà nella verbalizzazione della propria sofferenza e così tutto passa per l’atto. Ed è il corpo ancora più radicalmente la scena in cui il dramma si compone, un dramma muto. La società di oggi va verso l’onnipotenza soggettiva, dell’essere padroni del proprio corpo e del proprio universo relazionale. Tutto si è impoverito di quel senso di legame che una volta c’era. Tendere all’onnipotenza significa anche cercare di essere il più possibile al riparo da ogni mancanza e poter dire sto male significa ammettere di non essere integri e, quindi, di essere mancanti. La situazione Covid ha amplificato le solitudini e fatto deflagrare le situazioni cliniche, anche in soggetti che non avevano mai sofferto di niente. Ma la parola non muore mai, continua ad esistere nel soggetto, e quello che vale sempre la pena tentare è il legame, un modo di inserirsi”.
All’incontro non è voluto mancare il sindaco Paolo Calcinaro. “Mi sento molto legato a queste tematiche e oltre ad una vicinanza dell’Amministrazione comunale volevo rappresentare che siamo in dirittura d’arrivo per un importante traguardo: la realizzazione della scuola di Villa Vitali, che permetterà di conquistare nuovi ulteriori posti dal mese di settembre ed un conseguente miglioramento del servizio (il tutto a seguito di un eventuale spostamento del Dca nei locali dell’ex Agenzia delle Entrate, ndr)”.
Sul tema de “La forma dell’acqua: disturbo e complessità” è intervenuta Giovanna Facci, insegnante dell’Ipsia di Fermo e dottore di ricerca in sociologia, che ha concentrato la propria attenzione su tre parole chiave: adolescenza, disturbi del comportamento alimentare, complessità. “Negli adolescenti non c’è un’unica soluzione” ha evidenziato, elencando anche le numerose difficoltà riscontrate nella fase di pandemia ed il ruolo fondamentale della famiglia.
“C’è stato un sostegno da parte dell’utenza, delle associazioni e della rete, altrimenti non saremmo qui – ha precisato Michele Severini, neuropsichiatra infantile del Salesi di Ancona -. Abbiamo abbassato età dell’intervento, è stato uno sforzo enorme considerando le modeste risorse iniziali. Quando prescriviamo medicine queste vanno spiegate, la famiglia va supportata, perché la terapia comincia proprio in quel momento. Altro momento estremamente complicato in adolescenza è la diagnosi e bisogna capire come adolescente si muove. Infine, la famiglia, quella che ci fa fare una prognosi. Quindi, la diagnosi, o meglio la traiettoria diagnostica, va spiegata”.
Dai 27 ricoveri al giorno prima della pandemia, Severini ha assistito ad un incremento del 30%, con un’età ridotta fino agli 8 anni. “Dal 2020 c’è stata una risalita dei ricoveri, abbiamo avuto 60 pazienti ed il 90% in regime di urgenza. Il Lockdown ha esacerbato situazioni relazionali che non andavano e le situazioni conflittuali si sono amplificate. Così le angosce si sono trasferite sul corpo, l’urgenza è diventata quasi del 100%, l’età inferiore ai 12 anni è passata dal 20 al 40%. E consideriamo sempre che per mancanza di posti viene rifiutato un 40% delle richieste di ricovero”.
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati