La proposta di Baldelli: «Per far partire le riforme la Convenzione costituzionale offre ai partiti un’occasione imperdibile»
L'INTERVISTA - Il deputato eletto nelle Marche, vicepresidente dei deputati FI, già vicepresidente della Camera e presidente della commissione per la tutela dei consumatori, è relatore della riforma del Regolamento di Montecitorio e primo firmatario di una proposta di legge costituzionale che interviene su tema delle riforme istituzionali
Simone Baldelli, deputato eletto nelle Marche, vicepresidente dei deputati azzurri, già vicepresidente della Camera e presidente della commissione per la tutela dei consumatori, è relatore della riforma del Regolamento di Montecitorio e primo firmatario di una proposta di legge costituzionale che interviene su tema delle riforme istituzionali.
Proprio da questo tema siamo partiti per spiegare ai nostri lettori di cosa di tratta.
Onorevole Baldelli, perché in Italia è così difficile fare le riforme?
«Perché lo scontro politico permanente che ha segnato il bipolarismo italiano sin dagli anni ’90, sostenuto dalla frequenza delle varie scadenze elettorali che scandiscono l’agenda politica, ha finito quasi sempre per schiacciare il clima costruttivo di dibattito e di confronto che talvolta si è creato attorno ad un tema delicato come quello delle riforme istituzionali. Anche l’elemento ambientale sembra aver giocato un ruolo fondamentale in questa dinamica: difficile, infatti, pensare di poter costruire e conservare condizioni ideali per un confronto istituzionale collaborativo nelle stesse aule dove contemporaneamente i medesimi parlamentari svolgono battaglie quotidiane, spesso durissime, tra maggioranza e opposizione o tra coalizioni a geometria variabile, su voti di fiducia, emendamenti, ordini del giorno, mozioni, risoluzioni o varie richieste procedurali di ogni tipo».
Ma la riduzione del numero dei parlamentari, contro cui lei si è battuto, è stata approvata. Come lo spiega?
«L’esperienza parla chiaro: due riforme organiche approvate in parlamento sono state bocciate alla prova del referendum, quella del centrodestra nel 2006, e quella del centrosinistra, dieci anni dopo, nel 2016. Invece un intervento microsettoriale e meno esposto alla contrapposizione politica, come la riduzione del numero dei parlamentari, ha concluso il suo iter con la definitiva approvazione, pur comportando conseguenze importanti, e pericolosamente sottovalutate, sulla funzionalità e sulla rappresentatività del parlamento, di cui in pochissimi si sono preoccupati in questi ultimi due anni e che, invece, imporrebbero interventi correttivi di respiro costituzionale».
E oltre alle conseguenze della riduzione del numero dei parlamentari, come sostiene lei, quali sono le criticità dell’attuale sistema parlamentare?
«Nel corso degli anni, con un aggravamento dovuto anche all’inedita situazione di emergenza collegata alla pandemia, sono proliferate cattive prassi, a cui nessuno, però, ha voluto o saputo rinunciare, come, ad esempio, quella arcinota dell’eccessivo ricorso alla decretazione d’urgenza abbinata alla posizione della questione di fiducia, o quella dell’emanazione di decreti che toccano più materie e che contengono una quantità enorme di articoli e commi, che a loro volta aumentano ancora nel corso dell’esame parlamentare, o, ancora, quella più recente dell’esame “a senso unico alternato” dei disegni di legge di conversione dei decreti-legge, che di fatto limita la possibilità di emendare il testo del decreto alla sola prima lettura».
Come e su quali altri aspetti si potrebbe intervenire sul piano delle riforme?
«Non essendo mai iniziato un vero dibattito di merito su questi e su altri temi, come quello della possibile revisione della forma di governo, o di un riequilibrio tra i poteri, di recente sollevato dal professor Cassese, e considerando che la scadenza naturale della legislatura rende impraticabile affrontare riforme organiche, nasce la proposta di istituire una Convenzione costituente da eleggere insieme al prossimo parlamento, al fine di intervenire in via esclusiva su questi temi».
(foto dal sito www.camera.it
Ci spieghi come funzionerebbe questa assemblea.
«La mia proposta è contenuta in una proposta di legge costituzionale depositata alla Camera alla fine dello scorso anno.
La Convenzione, composta da 150 eletti col sistema proporzionale nelle attuali circoscrizioni europee, dovrebbe, in tre anni e senza costi aggiuntivi di sedi e strutture, che sarebbero messe a disposizione dal parlamento, redigere e approvare, al riparo dalle perturbazioni politiche ed elettorali e dalle contingenze del calendario parlamentare, una proposta “chiusa” di revisione della seconda parte della Costituzione, per poi presentarla al voto delle due camere».
E i cittadini, oltre ad eleggere i componenti della Convenzione, potranno avere anche voce in capitolo sul testo finale di riforma?
«La proposta di riforma sarebbe sottoposta al corpo elettorale con un referendum popolare, in via facoltativa, qualora le Camere approvassero il testo a maggioranza assoluta, o in via obbligatoria, qualora anche in una sola delle due Camere non si raggiungesse la maggioranza assoluta; mentre non si avrebbe il referendum se il testo fosse approvato da entrambe le camere con la maggioranza dei due terzi».
Secondo lei i tempi per approvare questa proposta ci sarebbero?
«Se ci fosse un accordo ampio io credo di sì. E per il parlamento attuale, anche alla luce dell’inedita geografia politica che lo compone, sarebbe l’occasione, forse unica e ultima, per costruire una sede in cui svolgere quel confronto istituzionale che tutti a parole auspicano, ma che, sino ad oggi, non c’è stato. Per questa ragione leader, partiti, movimenti e gruppi parlamentari dovrebbero cogliere la sfida e concretizzare questa opportunità».
E allora quando si dovrebbe iniziare a discuterne?