Sarah Cinquini
di Antonietta Vitali
«Io dico che sono ancora adesso in una lavatrice, che sta girando e la lascio girare. Una lavatrice di emozioni, pensieri e voglio lasciarla girare, non voglio fermarla». Così, Sarah Cinquini racconta il traguardo conquistato alla TransAtlantic Way, una delle gare più estreme nel panorama dell’ultracycling. Il piazzamento per lei è stato di prima assoluta tra le donne e ottava assoluta tra uomini e donne sui 67 (tra uomini e donne) partecipanti alla gara. Partenza il 9 giugno, arrivo venerdì 17 giugno, 8 giorni e 12 ore di pedalata, 310 chilometri di media al giorno, un percorso fatto di circa 2.500 km totali lungo la costa ovest dell’Irlanda, partendo dal Nord e scendendo verso il Sud. Milanese di nascita, sangiorgese di recentissima adozione, sei figli cresciuti, quattro partoriti da lei, alla fine della quarta gravidanza il peso raggiunto è importante, eccessivo. Decide che è ora di prendersi del tempo per sé. Inizia a correre, ma le articolazioni le fanno presente presto che non è lo sport giusto. Allora un amico le suggerisce di iniziare con la bicicletta, lei è scettica all’inizio, poi si lascia convincere e inizia la svolta. Si iscrive a una società di ciclismo la “Ciclisti Dergano” (un paese vicino Milano) e con loro parte per il primo viaggio di cicloturismo in Olanda. Fondamentale il far parte di questa società perché le insegna un sacco di cose e le fa capire che la sua passione sono le salite però non ha il fisico adatto per questo tipo di percorso, uno scalatore è magro, ha le spalle strette, corporazione più minuta per poter affrontare le salite in velocità. È a questo punto che decide di avvicinarsi al mondo dell’ultracycling dove si percorrono distanze molto lunghe ma non velocemente, il percorso è da affrontare tenendo con la maggior costanza possibile la propria velocità massima. Tra tutte le gare di ultracycling affrontate fino ad ora questa in Irlanda è stata la più estrema, un territorio non facile, a ridosso dell’oceano, vento, pioggia, chilometri e chilometri senza incontrare nulla, nemmeno una casa.
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Ma cosa si prova a vincere una gara del genere? Mai un pensiero di abbandonare tutto durante il percorso?
«Ho avuto dei momenti in cui andava giù la testa, non passavano i chilometri pedalando con il vento contro. Hai presente i cartoni animati? Pedalavi, pedalavi i chilometri sul computerino non scendevano, era un incubo. Non c’è niente e poi all’improvviso trovi dei baracchini che ti vendono caffè e brioche. L’Irlanda è disarmante, la natura è meravigliosa ma il nord è tosto. Poi verso sud è diverso, il clima è meno rigido, i territori più abitati. Due sono stati i momenti di crisi importanti, la prima è quando ho pedalato per 60 chilometri senza bere, da quel momento ho imparato a ricaricare sempre tutto e a ripartire piena di acqua e cibo da ogni sosta. La seconda è stata una crisi di sonno, avevo calcolato male i tempi di recupero notturno, pensavo di aver ricaricato le energie invece nel corso della giornata mi sono dovuta fermare a dormire per terra per una quindicina di minuti».
Pochissimo l’equipaggiamento portato, 8 kg in tutto, l’indispensabile, ogni chilo non necessario portato in più è un watt in meno di potenza che si sprigiona pedalando. Notti sempre passate in struttura per le tre ore di sonno necessarie al recupero e un grande aiuto che arrivava dall’Italia per prenotare i pernotti: la sua amica Caroline, di madre lingua inglese, conosciuta per caso ad una cena tra amici e che con gioia ha deciso di supportare Sarah durante tutti i giorni della traversata. Caroline in realtà è stata molto di più delle semplici telefonate fatte agli alberghi per riservare la stanza, è stata la sua motivazione, la sveglia che anche lei metteva dall’Italia per essere con Sarah quando ripartiva, la certezza che dopo una doccia e il riposo Sarah ce l’avrebbe fatta a raggiungere il suo obiettivo sia giornaliero che complessivo. E così è stato, il primo giorno 380 chilometri, il secondo 270, il terzo ne ha rifatti 320 e piano piano sia Caroline sia la famiglia di Sarah capivano che, nonostante tutto, compreso un tendine infiammato, la stoffa c’era. Si perché, anche da casa, ovviamente, continuavano a sostenerla. I suoi sei ragazzi e suo marito sono rimasti incollati al gps per seguire il tracciato della loro mamma e di sua moglie. Grande emozione il ritorno, baci, abbracci, l’immancabile striscione di bentornata e anche per loro una certezza, quella che dopo, forse, una settimana di riposo dalla bici, il clack della scarpetta sul pedale per Sarah sarebbe ripreso per le sue 20/25 ore di allenamento settimanale di preparazione per altre sfide, come, ad esempio, la TransContinental. Ma è ancora presto per parlare di questo! Intanto complimenti a Sarah per il risultato raggiunto in Irlanda, una storia di sport vissuta, senz’altro, con disciplina ma anche con grande passione e profonda emozione.
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