Armistizio dell’8 settembre, l’eroismo di Luigia Pacioni e Maria Benigni: salvarono la vita a sei inglesi (Ascolta la notizia)

L'ODISSEA di due donne, madre e figlia, che dopo la firma dell'Armistizio del 1945, tra mille peripezie, nascosero sei militari inglesi. Il 31 gennaio del 1947 il Quartier Generale degli Alleati decide di assegnare un attestato di merito alle due donne come ringraziamento per l’aiuto prestato ai soldati dell’Impero Britannico e del Commonwealth

Luigia Pacioni e sua figlia, Maria Benigni con tre dei sei inglesi salvati

di Antonietta Vitali

E’ l’8 settembre 1943, il Maresciallo Pietro Badoglio, alle 19,42, dai microfoni dell’Eiar annuncia alla popolazione italiana l’entrata in vigore dell’Armistizio di Cassibile firmato il giorno 3 dello stesso mese. Questo patto siglava la fine dell’alleanza dell’Italia con la Germania, l’inizio della Resistenza e della campagna di liberazione dell’Italia.

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La storia di resistenza raccontata in questo articolo è quella della grande prova di coraggio e di umanità vissuta da due donne, una madre, Luigia Pacioni e sua figlia, Maria Benigni. Il fatto andò così. Con l’armistizio dell’8 settembre riescono a scappare dal campo di concentramento di Servigliano sei prigionieri inglesi che arrivano a Montalto delle Marche, in Contrada Lago, a casa di Luigia. Solo lei e la figlia vi abitano, Maria ha tredici anni, il suo fratellino è morto alla tenera età di cinque anni di leucemia, il marito di Luigia, Nicola, è emigrato in America qualche anno prima. Quando Mussolini dichiara l’entrata in guerra dell’Italia, nel 1940, lui si trova a Napoli a bordo della nave che lo riportava in Italia e decide di non scendere affatto. Aveva fatto la guerra in Libia, dove le uova si cuocevano nella sabbia del deserto, gli era bastato.

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Nonostante il rischio e la condizione non facile Luigia decide di dare ospitalità ai sei inglesi e li nasconde in soffitta preparando loro quello che poteva per sfamarli. Chissà se qualcuno aveva fatto la spia o meno, fatto sta che una sera, all’uscio di Luigia si presentano anche dei tedeschi, che non chiedono però di dormire da lei, le chiedono soltanto di cucinare per loro a pranzo e cena e, lei, ovviamente, non può rifiutare. Così, per diversi mesi, gli inglesi sostano in soffitta e i tedeschi pranzano e cenano in casa delle due donne e un giovane tenente tedesco si affeziona a Luigia chiamandola addirittura «mamma». È lei, un giorno, a dire a lui, «passa tanta gente, posso aiutarla?» e lui a risponderle «se tu hai pietà per qualcuno puoi aiutarlo, ma io poi ti devo uccidere, mamma, perché la guerra è guerra».

Luigia si rende allora conto di quello che già sapeva, la sua attività di protezione di quei prigionieri mette lei e sua figlia troppo a rischio e i sei inglesi vengono fatti spostare lì vicino, all’interno di certe grotte scavate vicino a un piccolo affluente del fiume Aso, il torrente Lapedosa, vicino ad un ponte che poi i tedeschi faranno esplodere. Agli scavi delle grotte partecipano anche i quindici figli di una sorella di Nicola. Gli inglesi verranno catturati lo stesso, dai fascisti del luogo, in un giorno in cui erano scappati dalle grotte per andare a cercare un sacco di farina che all’epoca, però, era razionata. A seguito dell’attività sospetta di Luigia i sei vengono portati a bordo di una camionetta davanti alla casa delle due donne, la madre è nei campi, falcia l’erba, li vede arrivare ed è Maria, furbamente, a proteggerla, le si avvicina con il pretesto di giocare a palla vicino a dove la madre lavorava il campo e le dice di non muoversi, di fare finta di nulla, aveva visto che tutti e sei gli inglesi, per proteggere le due donne e salvarle dalla fucilazione, tenevano il pollice alzato, come a dire «va tutto bene, è tutto ok, non muovetevi».

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Portati di nuovo nel campo di Servigliano, i sei, dopo un bombardamento, riusciranno a scappare di nuovo e a rifugiarsi sempre all’interno delle grotte nei pressi del fiumiciattolo Lapedosa dove resteranno fino alla fine della guerra. Per un tratto di tempo è Maria a fare la staffetta, ascolta la radio e riferisce dell’avanzata degli alleati agli inglesi. È lei a comunicare loro, il 15 marzo del 1944, che gli alleati hanno vinto la battaglia di Cassino. Ma da questa data in poi, ai prigionieri di guerra rifugiati nelle grotte penserà solo Luigia, perché Maria, dalle lunghe e belle trecce scure, è troppo giovane e troppo graziosa per rischiare di cadere nelle grinfie di qualche tedesco che, mosso dalla rabbia della sconfitta definitiva oramai imminente, si muove negli abitati seminando più terrore di quanto non avesse già fatto prima. La ragazza verrà mandata in una “casa sicura”, in un casolare sperduto di campagna, insieme ad altre ragazze che lì tentano di salvarsi dallo stesso pericolo, quello di essere abusate. In tutto sono una decina, di un’età compresa tra i tredici e i venti anni, tutte sicure che nessun tedesco le può raggiungere e che invece, un giorno, vedono arrivare da lontano. Ma anche questa volta, l’astuzia di Maria argina il pericolo mettendo in scena un piano insieme alle altre compagne. Fanno stendere su un letto la più esile e emaciata delle ragazze, le altre si danno una espressione dimessa e sofferente e quando il tedesco entra in casa gli riferiscono di essere state confinate lì a causa della tisi di cui tutte sono affette e il tedesco scappa a gambe levate. La guerra finirà il 2 settembre del 1945, ai Tribunali di Guerra istituiti in seguito, i sei inglesi racconteranno che, dall’armistizio dell’8 settembre del 1943 fino alla fine del conflitto, sopravvissero grazie Luigia e Maria. Il 31 gennaio del 1947 il Quartier Generale degli Alleati decide di assegnare un attestato di merito alle due donne come ringraziamento per l’aiuto prestato ai soldati dell’Impero Britannico e del Commonwealth. Peccato che, per colpa di un maschilismo imperante, viene intestato a Nicola Benigni, in qualità di capo famiglia, ignorando completamente il fatto che tutto il merito (con tanto di diversi rischi corsi annessi e connessi) andasse a Luigia Pacioni e Maria Benigni. Di quei sei inglesi, nelle menti delle due donne, rimase il ricordo indelebile di quella incredibile esperienza delle quali furono protagoniste. Per un po’ di tempo restarono in contatto scritto con soltanto due di loro e poi i rapporti si persero. Per madre e figlia la vita, piano piano riprese il normale corso. Maria diventerà insegnante elementare, poi sposa, mamma etc., vivendo la sua vita, a cavallo di due secoli che per lei nata nel 1931 devono essere stati sconvolgenti e stravolgenti perché teatri di cambiamenti epocali, sempre con lo stesso bellissimo spirito che è sua figlia Angela a riferire, quello di essere stata, costantemente, irrimediabilmente e indissolubilmente innamorata della vita. Quando i suoi figli Angela e Filippo, ora custodi delle sue preziose memorie, divennero più grandi, raccontò loro anche del “sospetto” che sua madre Luigia, una volta rimasta sola in casa, non venne risparmiata dai tedeschi che una sera la fecero ubriacare e poi approfittarono di lei. Non erano loro due soltanto i destinatari della narrazione, saranno state migliaia le volte, dice Angela, in cui mamma Maria ha raccontato questa storia, la raccontava a tutti, perché nessuno possa dimenticare, perché nessuno deve dimenticare. Oggi, insieme alla foto di Luigia e Maria con tre dei sei inglesi salvati, è bello sapere che questa incredibile storia di grande forza e solidarietà, sfidando il tempo, resterà impressa anche tra le pagine di questo giornale.


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